STORIA DI BEDER PRINCIPE DI PERSIA E DI GIAUHARE, PRINCIPESSA DI
SAMANDAL
La Persia è una parte di terra, di sì grande
estensione, da non far meraviglia se i suoi re portano il superbo titolo
di re dei re. Uno di quei sovrani regnava da molti anni con una felicità
ed una tranquillità che lo rendevano il più soddisfatto di tutti i
monarchi. Vi era una sola cosa per cui si chiamasse sventurato; quella
d’esser molto avanzato negli anni, e che di tutte le sue mogli non ve ne
fosse niuna che gli avesse dato un principe da succedergli dopo la sua
morte.
Un giorno in cui teneva l’assemblea de’ suoi
cortigiani, un eunuco venne ad annunziargli che un mercante proveniente
da un lontanissimo paese e conducendogli una schiava, domandava il
permesso di fargliela vedere.
— Che si faccia entrare e sedere — disse il
re — io gli parlerò dopo l’assemblea.
Quando l’assemblea terminò, e tutti si furon
ritirati, il mercante si prostrò innanzi al trono del re.
Appena si fu alzato il re gli domandò se era
vero che gli avesse condotta una schiava come gli era stato detto, e se
era bella.
Sire — rispose il mercante — io non dubito
che la Maestà Vostra non ne abbia delle bellissime: ma io posso
assicurarvi senza tema di errare che niuna può stare a pari della mia.
— Ov’è dessa? —
soggiunse il re — conducetemela.
Venne condotta la schiava, ed appena il re la
vide ne divenne appassionatamente innamorato.
Ti farò contare diecimila piastre d’oro, sei
contento?
— Sire — rispose il Mercante — io mi sarei
stimato felicissimo se Vostra Maestà avesse voluto accettarla per nulla:
ma non oserei ricusare una sì grande liberalità.
Il re fece collocare la bella schiava nel più
magnifico appartamento dopo il suo, e le assegnò parecchie matrone ed
altre schiave per servirla.
Le matrone dissero al re:
— Sire, se la Maestà Vostra ha la pazienza di
darci soli tre giorni, noi ci impegniamo di farla vedere tanto superiore
a quella ch’è presentemente, che non la riconoscerà più!
Il re ebbe molta pena a privarsi per sì lungo
tempo del piacere di possederla interamente.
— Io lo voglio — diss’egli — ma a condizione
che mi teniate la vostra promessa.
A capo di tre giorni la bella schiava,
abbigliata magnificamente stava sola nella sua camera, seduta sopra un
sofà ed appoggiata ad una delle finestre che guardavano sul mare, quando
il re, avvertito che poteva vederla, vi entrò.
La schiava, sentendo camminar nella sua
camera, rivolse subito il capo per vedere chi fosse. Ella riconobbe il
re: ma senza manifestare la menoma sorpresa, senza nemmeno alzarsi per
fargli cortesia e riceverlo, e come se fosse stata la più indifferente
persona, si rimise alla finestra come prima.
Il re di Persia, lieto d’aver fatto un
acquisto di cui era sì contento, picchiò colle mani ed immantinente
entrarono più donne, cui comandò far servire la cena. Appena fu servita,
egli disse alla schiava:
— Cuor mio,
avvicinatevi, e venite a cenare con me!!
Ella si alzò dal luogo in cui stava, e quando
fu seduta di fronte al re questi la servì.
La schiava mangiò, sempre cogli occhi bassi,
e senza rispondere una sola parola, ogni volta che le domandava se le
vivande le piacevano.
Per cangiar discorso il re le domandò come si
chiamasse, se fosse contenta del suo abbigliamento, delle pietre
preziose di cui era ornata, ciò che pensasse del suo appartamento e
delle sue suppellettili, e se lo spettacolo del mare la divertisse.
Ma ella tenne il medesimo silenzio, di cui il
Re non sapeva più che pensare.
— Sarebbe essa muta? — diceva egli tra sé.
Quando il re si alzò di tavola, si lavò le
mani da un lato mentre la schiava se le lavava dall’altro.
Colse questa occasione per chiedere alle
donne che gli presentavano il bacino, s’ella aveva loro parlato.
Quelle gli risposero:
— Sire, noi non l’abbiamo intesa parlare più
di quello che la Maestà Vostra ha inteso; noi l’abbiamo pettinata e
vestita nella sua camera, e mai non ha aperto la bocca.
L’indomani il re di Persia si alzò più
appassionato per la bella schiava del giorno prima.
Essa non gli dette la consolazione di dirgli
una sola parola per tutto un anno: ma nonpertanto ei non cessò
dall’essere molto assiduo presso di lei con tutte le immaginabili
compiacenze, e di darle le più segnalate prove d’una violentissima
passione.
L’anno era corso, ed il re, seduto un giorno
presso la sua bella, protestava che il suo amore invece di diminuire,
aumentava giorno per giorno con maggior forza.
— Regina mia — le diceva egli — io non posso
indovinare ciò che voi ne pensiate: nonpertanto nulla non è più vero, vi
giuro che non desidero niente altro dacché ho la felicità di possedervi.
A questo discorso la bella schiava, che
secondo il suo costume aveva ascoltato il re sempre cogli occhi bassi,
si pose a sorridere.
Il re di Persia se ne accorse con una
sorpresa che gli fece fare un’esclamazione di gioia.
La bella schiava ruppe finalmente il lungo
silenzio, e così parlò:
— Sire, ho tante cose a dire alla Maestà
Vostra rompendo il mio silenzio, che non so dove incominciare. Sire, io
non posso darvi una più grande soddisfazione, che coll’annuncio della
mia gravidanza. Spero che sia un maschio. Oltre ciò, Sire — aggiunse
ella — se non fosse stata la mia gravidanza (supplico la Vostra Maestà
di prender la mia sincerità in buon aspetto) ero risoluta a non amarvi
come pure a tenere un perpetuo silenzio: ma presentemente io v’amo per
quanto lo debbo.
Il re di Persia, lieto d’aver inteso parlare
la bella schiava coll’annunciargli una notizia che tanto gli stava a
cuore, l’abbracciò teneramente dicendole:
— Luce degli occhi miei, io non poteva
ricevere una più grande gioia di quella di che mi colmate. Voi m’avete
parlato ed annunciata la vostra gravidanza! Io non capisco in me stesso,
dopo questo soggetto di letizia, che non mi aspettava punto.
— Sire — soggiunse la bella schiava —
quantunque io sia vostra schiava, come ho già detto alla Maestà Vostra,
un re non ne può padroneggiare la volontà. Nondimeno siccome parlate ad
una schiava capace di piacere ad un monarca e di farsene amare, se la
schiava è d’uno stato inferiore, voglio credere potersi essa stimar
felice nella sua sciagura. Ma quale felicità
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intanto! Essa non lascierà di guardarsi come una schiava strappata dalle
braccia della madre sua e del padre, e forse d’un amante che non lascerà
d’amare per tutta la sua vita. Ma se ella stessa non cede in nulla al re
che l’ha acquistata, la Maestà stessa giudichi del rigore della sua
sorte, della sua miseria, della sua afflizione, del suo dolore e di che
essa può esser capace.
— Il re di Persia stupito da questo discorso
esclamò:
— Come, signora, sarebbe egli possibile, come
lo fate intendere, che scorra nelle vostre vene sangue reale?
Informatemi di grazia, su questo punto e non aumentate la mia
impazienza. Ditemi chi è il felice padre e la felice madre di un sì gran
prodigio di bellezza, chi sono i vostri fratelli, le vostre sorelle, i
vostri congiunti, e soprattutto come vi chiamate?
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