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Man Ray

Nato a Filadelfia nel 1890, Emmanuel Radnitski, è stato un’artista capace di costruire la sua carriera intorno a due campi estremamente diversi: la fotografia e la pittura.

Convinto che la fotografia fosse la fine “della fatica di riprodurre le proporzioni e l’anatomia dei soggetti”, affermava che la fotografia lo aiutava a rappresentare ciò che non voleva dipingere, così come la pittura poteva aiutarlo ad esprimere ciò che non poteva fotografare.

L’origine del suo percorso artistico si può datare tra il 1910 e il 1915, dopo il trasferimento da Brooklyn a New York; è del 1911 infatti, la sua primo opera, “Ritratto di Alfred Stieglitz, quadro di matrice cubista.

Interessato ad ammirare i collage di Picasso e gli acquarelli di Cézanne, fu soprattutto influenzato dalle visioni della realtà portate avanti dal Dadaismo prima e dal Surrealismo poi.

Con un’attenzione e un interesse minuzioso per le luci e le ombre, Radnitski iniziò a fotografare nel 1915, cambiando il suo nome in Man Ray, “uomo raggio”.

Amava ritrarre gli oggetti d’uso comune, passione che incrementò nel 1921, quando, trasferitosi a Parigi si avvicinò sostanzialmente alle idee dell’avanguardia storica dadaista, che usava gli oggetti della moderna produzione industriale, riadattandoli in maniera del tutto creativa, e scardinando ogni regola convenzionale e borghese.

Nascono in questo clima le “Rayografie” oggi più comunemente chiamate “fotogrammi”, ossia i negativi degli oggetti, opachi o traslucidi, precedentemente appoggiati sulla carta.

Forme nuove e nuove espressioni dunque, che Man Ray trasfigurò anche nel cinema, nella scultura e nei suoi “ready made”, gli “oggetti d’affezione”, frutto di accostamenti incongruenti e insoliti alla ricerca di un nuovo senso.

Si pensi a “La femme”, foto di un frullatore e della sua ombra, che nell’ottica di Man Ray non solo era l’emblema della trasgressione dadaista, ma essendo estrapolato completamente dal suo contesto d’uso, poteva (in una successiva stampa intitolata “l’homme”), interpretare perfino le concezioni meccanico-sessuali delle teorie freudiane, dove l’anima umana non veniva vista come qualcosa di unico, ma distinta nelle caratteristiche dell’uno e dell’altro sesso.

Man Ray, inventava, fotografava per testimoniare il suo spirito creativo, ponendosi come un pensatore dalla libertà assoluta, che non ha vincoli, se non quello di seguire sempre la luce in ogni sua manifestazione, in un oggetto così come in un paesaggio.

Ecco allora l’”Elevage de poussière”, che mostra un paesaggio polveroso, trasposizione di un particolare del “Grande Vetro” di Duchamp.

Infine i ritratti, altro gioco espressivo in cui Man Ray amava cimentarsi, nel ritrarre i suoi amici o i grandi letterati o le belle donne; le pose sembrano casuali e le inquadrature sono così ravvicinate che sembrano voler proiettare il soggetto al di fuori del suo spazio.

A Man Ray e al suo lavoro furono dedicate moltissime mostre, specie negli ultimi dieci anni della sua vita. Si spense a Parigi all’età di 86 anni, dopo aver ricevuto molti premi alla carriera, tra i quali anche la medaglia d’oro per la fotografia alla Biennale di Venezia nel 1961.