47 morto che parla
			
			Titolo originale: 47 morto che parla
			
			Paese: Italia
			
			Anno: 1950
			
			Durata: 82 minuti
			
			Colore: Bianco e Nero
			
			Audio: sonoro
			
			Genere: comico
			
			Regia: Carlo Ludovico Bragaglia
			
			Soggetto: Ettore Petrolini
			
			Sceneggiatura: Vittorio Metz, Furio Scarpelli, Age, Marcello 
			Marchesi
			
			Scenografia: Alberto Boccianti
			
			Interpreti e personaggi: Totò: il barone Antonio Peletti; 
			Silvana Pampanini: Marion Bonbon; Carlo Croccolo: il cameriere 
			contrano; Aldo Bufi Landi: Gastone Figlio di Peletti; Adriana 
			Benetti: Rosetta; Arturo Bragaglia: il sindaco Tiburzi; Tina 
			Lattanzi: Susanna, la moglie del sindaco; Gildo Bocci: il macellaio; 
			Franco Pucci: il dottore; Eduardo Passarelli: il farmacista; Dante 
			Maggio: Dante Cartoni; Mario Castellani: il colonnello Bertrand de 
			Tassiny; Gigi Reder (usciere delle terme)
			
			Doppiatori originali: Lydia Simoneschi: Silvana Pampanini
			 
			Trama
			Antonio Peletti è un barone 
			molto avaro e cinico che ha ricevuto un grande lascito dal padre: 
			una cassetta colma di gioielli di ogni genere e monete preziose 
			inestimabili.
			Egli però non rende noto il 
			possesso di tale tesoro poiché il suo defunto padre, tramite proprio 
			volere espresso nel testamento, ha lasciato il 50% del tesoro a suo 
			nipote Gastone, figlio di Antonio, innamorato della bella Rosetta 
			che di mestiere fa la cameriera.
			La restante metà della preziosa 
			eredità spetterebbe al comune che con quei soldi dovrebbe 
			“edificare” una scuola per i bambini.
			Essendo l'avarizia e tirchieria 
			fatta persona, Antonio tiene nascosto il tesoro per non doverlo 
			dividere con nessuno, neanche con suo figlio figuriamoci con bambini 
			a lui sconosciuti.
			Ogni giorno gli amministratori 
			comunali tampinano il barone per convincerlo a rivelare il 
			nascondiglio del tesoro; per indurre Antonio a svelare l'ubicazione 
			segreta gli amministratori usano uno stratagemma “ultraterreno” 
			ovvero mettono in piede la finta morte del barone facendogli credere 
			di essere finito all'inferno.
			Però il barone ha sette vite 
			come i gatti e darà filo da torcere ai suoi “persecutori”... 
			 
			Recensione
			“E io pago...e io pago...” tale 
			frase sarà ripetuta fino allo sfinimento dal protagonista Antonio, 
			ovvero il principe della risata De Curtis.
			Una frase molto discostante 
			dalla realtà concreta poiché il barone Peletti, avarissimo, sempre 
			con qualche stratagemma evita di sborsare qualche lira.
			Anche nei confronti del sangue 
			del suo sangue, il figlio Gastone, egli è molto restio nel donare 
			senza indugi i propri averi economici.
			Simpaticissima la scena in cui, 
			invitata a cena la bella Rosetta per chiederla in moglie, il barone 
			si reca personalmente dal macellaio; un evento che la gente del 
			paese stenta a credere di vedere con i propri occhi. 
			Il macellaio lo tratta con i 
			guanti bianchi perché sa che Antonio è un personaggio benestante e 
			al momento di pagare la carne acquistata, il barone mischia le carte 
			in tavola con astuta parlantina inducendo il macellaio alla 
			confusione e ottenendo addirittura un resto di una lira che non gli 
			apparterrebbe.
			In questa scena viene mostrata 
			la vera arte scenica e recitativa di Totò, virtù che lo ha reso il 
			famoso personaggio cinematografico che è tutt'ora nei nostri ricordi 
			ogni volata che ci capita di visionare una suo opera filmica.
			La figura del saltimbanco 
			chiassoso, impertinente ma comicamente geniale è il personaggio che 
			più compete alle corde umoristiche e facciali di De Curtis che in 
			questi panni sa esprimersi al meglio elevando la propria caratura 
			artistica in maniera esponenzialmente irraggiungibile per i comuni 
			mortali “attorucoli”.
			Niente di terreno può 
			costringere o convincere il barone a rivelare dove si trova il 
			tesoro bramato dal comune per realizzare la scuola; solo il pensiero 
			della morte dell'aldilà riesce a far indietreggiare Peletti e a 
			farlo ritornare sui propri passi.
			Egli al pensiero di essere 
			trapassato e di non poter più godere dei beni terreni vive la sua 
			“non esistenza” o “non vita” come un'angoscia e pur di evitare 
			terribili supplizi all'inferno, (ovviamente menzionati al barone 
			solo per impaurirlo) egli acconsente a riferire il nascondiglio del 
			tesoro atto a permettere la costruzione della scuola.
			Anche in questa pellicola Totò 
			da sfoggio delle sue infinite risorse comiche che poggiano 
			saldamente su una mimica spavalda ma allo stesso tempo gradevole e 
			delicata.
			Una risata inevitabile che può 
			affiorare su qualsiasi bocca, anche quella associata ad un cuore 
			arido di umorismo ed allegria; il barone con la sua avarizia non si 
			pone in modo antipatico e tedioso allo spettatore ma bensì, con il 
			suo modo di interagire con gli altri comprimari della pellicola, 
			riesce ad  amplificare tali virtù, apparentemente negative, 
			trasmutando il proprio personaggio in una macchietta simpatica e 
			“diabolicamente” divertente.
			Anche il più semplice o 
			insignificante dei dialoghi, manipolato dalla lingua di De Curtis si 
			trasforma in una sequenza goliardica e irresistibilmente ironica.
			
			Tra i vari personaggi che 
			popolano il film possiamo menzionare il bravissimo Carlo Croccolo, 
			uno dei rari caratteristi che ha avuto la bravura e il merito di 
			poter animare più di 100 pellicole con le sue performance 
			recitative; egli è stato una delle così dette “spalle” ideali per 
			film aventi come star principali nomi altisonanti come Vittorio De 
			Sica ed Eduardo De Filippo.
			La sua carriera ha rivelato 
			altre sue peculiarità artistiche oltre alla recitazione come la 
			proprietà di doppiaggio, arricchendo con il proprio timbro vocale 
			personaggi famosissimi dell'epoca come lo stesso Totò e Oliver Hardy 
			(in arte Ollio del duo comico “Stanlio & Ollio”).
			La componente sexy della 
			pellicola è supportata egregiamente da Silvana Pampanini; ella 
			partecipò all'edizione di “Miss Italia” del 1946 e pur non vincendo 
			(la vincitrice fu Rossana Martini) il pubblico la proclamò 
			vincitrice morale.
			La giuria del 1946 di Miss 
			Italia non regalò il titolo alla bella romana Silvana perché 
			ritenuta troppo “sexy” per quegli anni; infatti la vittoria della 
			Martini fu turbata da un'atmosfera densa di polemiche.
			Se il palcoscenico di tale 
			kermesse non seppe sfruttare la sua prorompente bellezza, ci pensò 
			il mondo della celluloide, innalzandola come simbolo e bandiera 
			dell'era delle “maggiorate”.
			La sua interpretazione di 
			maggior spicco rimarrà quella di Luciana, diva sul viale del 
			tramonto, nella pellicola “Il gaucho” del 1964.
			Degno di nota anche l'attore 
			Gigi Reder, famosissimo per aver prestato il volto al buffo 
			ragionier Filini, presente in quasi tutte le pellicole della saga 
			dell'imbranato e mediocre Ragionier Ugo Fantozzi, incarnato dal 
			talentuoso Paolo Villaggio.
			Qui Reder ricopre un ruolo 
			marginale, quello dell'usciere delle terme.