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BIANCA D'ANNA

[Andrea principe di Spargi] [Il faro bianco] [Isola del pesce] [Niccolai dei gabbiani] [Il guerriero]

IL GUERRIERO

 

Giovanna era una ragazza bruna e piccolina. Non particolarmente bella, ma carina e con gli occhi verdi.

Andava bene a scuola ed aiutava i compagni.

Ma soprattutto amava il posto dove era nata.

Isola di un’isola, legata solo da un ponte di legno, a sua volta isola di un’altra isola.

Isola stupenda e solitaria. Piena di profumi e colori, come pochi altri posti al mondo.

Isola ricca di colorati corbezzoli, meta preferita di api produttrici del miele più profumato e ricercato per condire le seadas. Gli eucalipti, frusciando al vento spandono Il balsamico profumo mescolato a quello forte del ginepro, del mirto, della ginestra.

I pini fanno la loro parte, con le loro chiome altissime ed il profumo di resina.

In primavera è tutto un risvegliarsi di piccoli fiori, di gemme verdi e poi il mirto, sempre meraviglioso!

Il mare intorno è unico. Mare di mille colori pieno di sorprese e pesci colorati.

Sugli scogli disseminati in mare ai lati del ponte, quasi a guardia dell’ingresso, colonie di cormorani e gabbiani alteri ed immobili scrutano il mare in attesa di prede, o con le ali aperte, stendono un ideale "bucato" in attesa che il sole le asciughi ben bene.

Le spiagge sono tutte splendide. Incastonate in infinite piccole o grandi baie, quasi sempre circondate da scogli di granito scolpiti dal vento, lisci e talmente ben modulati che a volte sembrano cuscinoni di gommapiuma e vien voglia di sdraiartici sopra.

Altre volte le rocce sono rosse, ferrose, friabili e danno alle acque ed alla sabbia su cui sono conficcate, un riflesso rossastro.

Meraviglioso contrasto con l’azzurro limpido e trasparente del mare.

Alcune spiagge sono quasi inaccessibili via terra e ci si approda d’estate con una miriade di imbarcazioni di turisti incantati.

In questo paradiso la strada asfaltata è una sola e porta esclusivamente alla casa museo dell’eroe più famoso. Per il resto c’è una strada bianca che porta alle principali spiagge e taglia, come una ferita, l’isola fino all’estrema punta, Punta Rossa, dove ci sono alcuni capannoni dei militari che ogni tanto vengono qui in tuta mimetica, il volto dipinto e fanno delle esercitazioni in mare ed in terra per prepararsi a missioni lontane.

Per il resto, ci sono dei sentieri più o meno nascosti, che portano agli alti fortini, a spiagge deserte, a boschi incontaminati.

Gli abitanti si contano sulle dita di una mano e molti di questi sono militari che prestano servizio nell’isola madre, al di là del ponte.

 

Giovanna era figlia di un operaio dell’arsenale militare ed abitava in una casetta che ricordava le favole. Ad un piano, con il tetto rosso ed un piccolo giardino pieno di fiori tutto intorno. Aveva tutte le finestre riquadrate di lastre di granito e tendine ricamate ai vetri. Nel grande ingresso-sala-cucina c’era un enorme camino che raccoglieva attorno a se’ tutta la famiglia d’inverno quando il vento fuori fischiava più forte dello scoppiettare dei ciocchi.

Le camere erano piccoline ma con le travi di legno al soffitto, annerite dal tempo e i muri imbiancati a calce.

La mamma aveva cucito per lei ed il fratello dei copriletti con una stoffa meravigliosa piena di pesci, ricci e conchiglie e così aveva fatto pure le mantovane per incorniciare le finestre.

Nel muro spesso e antico, il papà aveva ricavato delle nicchie e mensole sulle quali Giovanna poggiava le foto e i ricordi lasciati dal mare.

Stelle marine rosse come il fuoco e ricci viola come anemoni o verdi o arancioni. Conchiglie con il profumo del mare e legni levigati dalle forme più strane.

La sera, quando andava a letto, prima di addormentarsi, nella penombra data dalla piccola luce da notte, guardando tutto l’arredamento della stanza, sognava di scivolare in fondo al mare in un’immersione sempre diversa e ogni notte più bella.

La casa faceva parte di un piccolo gruppo, tutte più o meno simili. Vicino c’era una piccola cappella e si affacciavano tutte su una baia.

C’era la spiaggetta, un piccolo molo con poche barchine colorate e nient’altro. Per circa dieci mesi all’anno tutto quel paradiso era il suo.

Giovanna andava a scuola nell’isola grande e lì insegnava catechismo ai bambini della parrocchia, andava a trovare le amiche ed insieme facevano le passeggiate lungo il corso ad occhieggiare i ragazzi.

Ma appena poteva, scappava lì, nella sua isola e con un paio di scarpe da ginnastica e la sua inseparabile amica, Teti, era pronta ad avventurarsi per i sentieri più aspri a scoprire panorami sempre nuovi ed angoli sconosciuti.

Un cenno particolare va fatto su Teti, membro ufficiale della famiglia e, ormai, mascotte di tutta la comunità dell’isola.

Perché Teti non poteva certo passare inosservata.

Teti era un terranova di tre anni, nera e bellissima. Dolce ed affettuosa compagna di giochi di tutti e tutti le mettevano da parte un boccone speciale o una carezza.

Teti aveva conosciuto tempi peggiori. Era stata abbandonata sull’isola da alcuni turisti, un giorno si settembre.

L’aveva trovata il padre di Giovanna, sola, piangente, ferita ad una gamba e tutta sporca. L’aveva portata con se a casa e tutti si erano presi cura di quel cane così bello e con quegli occhi così dolci ed affettuosi.

L’avevano curata, lavata e sfamata, adottata ed amata tutti, come fosse stata una bimba trovatella. Le avevano dato questo nome importante e lei lo portava con grazia, da vera dea.

 

Era stata anche un’eroina. Un’estate aveva salvato un bambino che stava annegando in mare. Mentre la madre urlava sulla spiaggia ed il padre si tuffava cercando di raggiungere il bambino, Teti con un balzo è entrata in acqua, veloce come il vento ha superato tutti i soccorritori, si è tuffata ed ha tirato fuori il bambino, consegnandolo poi in braccio al padre.

Così avevano capito che quel cane, in precedenza, era stato anche addestrato per il salvataggio, come i migliori della sua razza. Ed era stata abbandonata!

Giovanna. Oltre a giocarci come faceva Piero, il fratello, la considerava la sua migliore amica e la portava sempre con se nelle sue escursioni solitarie.

Quando trovava un posto nuovo lei si sedeva su un masso e guardava il panorama e Teti iniziava a correre qua e la, quasi impazzita dalla gioia.

E poi se erano vicine al mare, in qualunque stagione, quel cagnone festoso e tanto simile ad un enorme orsacchiotto, voleva toccarlo e appena possibile, buttarsi dentro, almeno per un tuffo e poi rotolarsi sulla sabbia.

Giovanna sulle prime si arrabbiava perché quella scena significava che poi bisognava lavarla e non era un’operazione semplice ed indolore per quanto riguardava gli schizzi, ma poi rideva felice della felicità dell’amica ed insieme correvano sulle più belle spiagge deserte dell’isola.

Si godevano insieme il tramonto e poi di corsa a casa, via, vediamo chi arriva prima.

Un giorno vennero degli operai per pulire e mettere in ordine una casetta, la più grande del gruppo che da parecchio tempo era rimasta vuota.

Nel piccolo Borgo questo era già un avvenimento!

Tutti erano lì attorno a ronzare e curiosare, a commentare sul colore dato alle pareti e delle nuove piastrelle che sostituivano quelle malandate dei servizi della casa.

Chi sarà il nuovo arrivato? Uno importante!

E sì, ora uno importante lo mettevano proprio lì in quel posto sperduto da Dio! Finché: lo so io chi sta per arrivare! E’ il nuovo maresciallo con la famiglia.

Uno che si sa fare rispettare e che arriva dal Nord. Ma che ama il mare e la pesca ed ha chiesto espressamente di stare qui.

Così un giorno di fine giugno, alla chiusura delle scuole, quando l’isola di giorno cominciava ad essere invasa dai turisti, arrivò un camion dei traslochi seguito da un fuoristrada ed i nuovi vicini presero possesso della casa.

In giro, oltre i bambini non c’era nessuno, ma potete giurarci, non ci fu poltrona, lampadario o vaso che non fu soppesato, giudicato e criticato da decine di occhi che sbirciavano attraverso le persiane delle finestre.

Verso sera, quando i turisti, in una lunga processione di macchine, battendo la strada polverosa, abbandonavano l’isola, la gente uscì dalle case come tutte le sere. Mentre alcuni uomini armavano le barche per andare a pesca e altri sedevano a prendere il fresco, le donne con i loro lavori femminili si scambiavano commenti e chiacchiere.

 

Ma gli sguardi erano tutti attratti da quella casina tirata a lucido, dove dentro ancora c’erano delle persone che montavano armadi, attaccavano lampadari e andavano avanti e indietro.

Poi, pian piano gli operai se ne andarono e i nuovi inquilini uscirono anch’essi con le loro sedie, in giardino a prendere un po’ di fresco e riposarsi.

Erano tre persone. Un uomo robusto, con i baffi e l’aria severa. Era il maresciallo.

Una donna dai capelli rossi e ricci, dai tratti gentili e dal portamento elegante.

Avevano un figlio dell’età di Giovanna, alto, moro e riccio. Sembrava molto legato ai suoi ed educato.

Il primo giudizio sommario delle comari fu: "sembrano buoni, si vedrà".

Giovanna si disse: "finalmente una persona della mia età. Speriamo che si possa andare d’accordo".

Mauro, per i primi giorni, aveva un’aria infelice. Aveva lasciato gli amici, la scuola, la sua città per andare a "fare il selvaggio", come aveva confidato alla madre.

Così guardava con aria distratta quel mare che aveva davanti e diceva: "è acqua! E’ tutta uguale!" la casa gli sembrava quasi ridicola, piccina com’era!

Ma Teti lo conquistò subito. Assieme a Giovanna facevano lunghe passeggiate sulla spiaggia e lasciavano correre Teti libera e felice.

Un po’ alla volta iniziò a vedere tutte le cose con gli occhi di Giovanna.

Cominciò ad apprezzare i vari colori del mare e le sue fredde acque. Si arrampicò con lei sul punto più alto dell’isola e godé del panorama meraviglioso.

Conobbe un’infinità di sentieri pieni di profumi sconosciuti e tutti indistintamente portavano ad uno scorcio, sempre diverso e magico, di quel mare.

A volte andavano a piedi, soprattutto quando affrontavano i sentieri o nei boschi.

A volte decidevano di "andare al mare" e allora via, in bicicletta con un cestino per il pranzo e tanta voglia di sole e mare.

Così Mauro scoprì le più belle spiagge che non avesse mai potuto sognare: la spiaggia di due mari, la spiaggia del relitto, cala Andreana, Punta Rossa, come tanti turchesi e brillanti acque marine incastonati in un antico gioiello di smeraldi. Erano spettacoli mozzafiato, anche se bisognava dividerli con i turisti che erano già numerosi.

E poi attraverso sentieri, arrivavano a Cala Napoletana, Cala Serena e un giorno, dopo una lunga arrampicata, ecco sotto i loro piedi una cala stupenda, Cala Coticcio, chiamata anche Tahiti, il mare di un colore azzurro intenso e trasparente.

Di lassù si vedevano le barche all’ancora e sotto di loro gruppi di occhiate, affamate di pane, lanciato loro dai turisti.

Davanti a tali spettacoli Mauro restava senza fiato e stringeva forte le mani di Giovanna. I loro cuori battevano all’impazzata e in quei momenti sapevano che quello era amore.

Il loro primo unico vero grande amore.

L’amore non ha età questo è vero. Ma quando si è adolescenti, tutto è eterno.

Di fronte ad ogni evento della vita, in genere, un adulto riesce a reagire con la ragione. Un adolescente no. Per lui ogni avvenimento, ogni sentimento è unico. O è bianco o è nero. Figurarsi l’amore!

L’amore, soprattutto quando non è banale, quando non è uno stare assieme perché tutti fanno così, ma quando senti che l’altro dentro è come te, quando assieme gioisci di un tramonto o ti commuovi quando incontri uno scoiattolo o ti emozioni se in acqua incontri una medusa viola con i tentacoli pericolosi sì, ma bellissimi, azzurri e fluorescenti.

L’amore è quell’esperienza unica che ti completa e riempie l’anima.

Quando dopo il bagno, stanchi si sdraiavano al sole, Giovanna poggiava la testa con i suoi lunghi capelli scuri sul petto di lui, Mauro sentiva che bruciavano sul suo cuore, non riusciva a respirare per l’emozione e voleva che quegli attimi non finissero mai.

Un giorno lessero una poesia di pochi versi, diceva così: "Noi siamo angeli con un’ala soltanto, e solamente insieme possiamo volare". Mai nessuna spiegazione dell’amore era stata così fulminante, precisa e sintetica.

Lei leggeva negli occhi di lui la certezza del futuro e questo le faceva tremare il cuore. A volte era convinta di non riuscire a sopportare il peso di quell’amore, le sembrava che il cuore le dovesse scoppiare e le tremavano le gambe.

Non avevano bisogno di parole, di dirsi tutte quelle cose melense che dicevano gli attori nei film o che raccontavano i compagni di scuola. Loro non ne avevano bisogno. Tutto era scontato fra loro.

Mauro diceva che non se ne sarebbe mai andato. Lei taceva.

Lui progettava di realizzare il suo grande sogno: dentro il suo cuore si sentiva militare: voleva partecipare al concorso in marina, fare l’ufficiale e poi chiedere il trasferimento lì. Era sicuro che l’avrebbero accontentato, in fondo era una base militare.

Spesso, usciti dal mare, con i capelli bagnati, giocavano "al guerriero". Con le alghe bagnate lei gli modellava direttamente sul corpo le mostrine di un esercito di pace e i gradi più alti. Con la posidonia spiaggiata, gli costruiva addosso una corazza. E lui, con il fisico da dio greco, brandiva la sua spada fatta ora con una canna con ancora le foglie attaccare, ora con un bastone, e guidava il suo esercito all’attacco.

Giovanna rideva e lo chiamava "il Guerriero".

E nel suo cuore sapeva che il "suo Guerriero" aveva vinto la sua battaglia e lei era la preda.

Così passarono quei meravigliosi mesi e venne l’autunno. Il più bello della loro vita.

I turisti erano andati via e l’isola era tornata ad essere tutta loro.

Il mare d’autunno, fra quelle isole è uno spettacolo che ti prende allo stomaco, ha un colore più scuro, a volte anche violetto. Il cielo è stranamente più limpido e l’aria è come sospesa.

I tramonti hanno la violenza di quelli orientali. Ogni sera ti sembra di morire con il sole. La respirazione rallenta finché il sole, come un’immensa palla arancione, si tuffa laggiù, tra il mare tutto d’oro e il cielo di mille colori. Poi, sembra che tutto si fermi fino all’indomani mattina.

Passato l’autunno, arrivarono le piogge, il freddo e una mattina incantata, arrivò addirittura la neve. Poca ma sufficiente per fare impazzire tutti i bambini e i gatti del piccolo borgo. Teti all’inizio non capiva bene cos’era quella roba bianca e fredda che veniva giù dal cielo e si poggiava sulla spiaggia.

L’annusò, l’assaggiò e poi ci si rotolò sopra. Ma durò poco.

D’inverno, si sa, fa buio presto e dopo fatti i compiti, nelle case si accendevano i camini ed i vecchi raccontavano fatti favolosi e storie magiche.

Come una lunga collana di perle, passarono i giorni dell’inverno e all’improvviso arrivò la primavera.

Con il tepore delle giornate ed il risvegliarsi dei fiori gialli ai bordi delle strade, arrivò la notizia.

Il maresciallo, finito l’anno di addestramento, sarebbe tornato al nord.

E con lui la bella moglie dai capelli rossi e ricci e suo figlio Mauro.

Un trasferimento come tanti, in quelle isole piene di militari italiani e stranieri.

Il cuore di Giovanna cominciò a battere in maniera strana, ogni tanto sembrava si volesse fermare.

A volte, di notte, piangeva e provava ad immaginarsi di vivere un giorno senza il suo Guerriero.

Non ci riusciva. Non era possibile. L’unica cosa che le veniva in mente era come se qualcuno potesse passare, con un grande pennello, una mano di grigio sulla sua vita.

Tutto sarebbe rimasto uguale: il sole, il mare, le pinete, Teti, le spiagge ed il loro amore.

Ma nulla sarebbe rimasto uguale. Tutto sarebbe stato un po’ più grigio e meno splendente.

Giovanna e Mauro passavano tutto il loro tempo libero abbracciati. Come se ogni abbraccio, ogni contatto, fosse messo in una sorta di dispensa da riempire fino all’orlo. Dove poter attingere nei giorni futuri di solitudine.

Una mattina di settembre, mentre un cormorano si tuffava per acchiappare il suo primo pesce della giornata e uno stormo di gabbiani strideva per assegnarsi il territorio, mentre l’aria si scaldava e illuminava con la stessa precisa metodicità di ogni giorno, arrivò una squadra di operai per imballare piatti, smontare armadi, staccare lampadari nella casa del maresciallo.

La gente del borgo si fingeva un po’ distratta per discrezione, buttava un’occhiata a quella novità e poi si immergeva nelle proprie occupazioni.

Soltanto Teti era rimasta seduta li, ad una certa distanza, immobile e con aria preoccupata.

Verso sera, la gente cominciò ad uscire fuori casa a prendere il fresco, chiacchierando di quella stagione particolarmente lunga e calda, era come se non volesse finire mai e delle spese fatte quel giorno al mercato.

 

Il giorno di mercato era un avvenimento. Si aspettava, per tutta la settimana, che arrivasse Alì Babà con tutta la mercanzia esistente al mondo, per poi accorgersi che arrivavano sempre le solite bancarelle, con sempre le solite cose. Ci si sentiva un po’ delusi, ci si accontentava lo stesso e dall’indomani si iniziava nuovamente a sognare Alì Babà per la prossima settimana. Questo era il fascino del mercato settimanale.

Quando fu quasi buio, uscirono a prendere il fresco anche il maresciallo e la sua famiglia. Stanchi e con l’aria un po’ triste.

Questa volta però tutti si avvicinarono a scambiare due chiacchiere. Chi salutava affettuosamente, chi portava un dono per ricordo, gli uomini parlavano con aria più distaccata di servizio e di pesca e tutti si passavano indirizzi e numeri di telefono.

Mauro e Giovanna, seduti su uno scoglio lontano, nel buio più profondo di quello reale, nel silenzio più sordo che avessero mai udito, stavano fermi a guardare il mare e si stringevano la mano.

Poi lui cominciò a dire che avrebbe scritto tutti i giorni, che sarebbe tornato, che nulla ormai avrebbe avuto un senso al di fuori di quell’isola incantata. Che quel profumo di servaggio e di natura ormai ce l’aveva addosso e che lì avrebbe voluto vivere per sempre.

Giovanna guardava il suo guerriero e se lo immaginava bello, forte nella sua armatura, pronto ad affrontare chissà quali nemici in quella Crociata senza senso.

Lei aveva bisogno di credere a tutto quello che sentiva in quel momento.

Beveva tutto con tutti i pori della sua pelle, perché era quello che voleva sentire. Ma, nello stesso tempo, sapeva che lui non sarebbe più tornato e che forse non l’avrebbe rivisto mai più.

Per questo taceva.

Lui le regalò la sua macchina fotografica, perché diceva, non avrebbe più fotografato niente di così bello.

Lei, erano un paio di giorni che ci lavorava, gli regalò un pupazzo, fatto con le sue mani: un guerriero fatto di legni, alghe secche, latta e stoffa, dipinto con cura da sembrare un prode paladino. Anzi ne aveva fatti due. Uno per lui ed uno per se.

Tutto l’inverno Mauro scrisse quasi regolarmente. Le raccontava di cose a lei difficili da immaginare. Si era iscritto all’università in una grande città del Nord e parlava di lezioni, amici nuovi, metropolitane e fast-food. Di una vita notturna inimmaginabile laggiù nell’isola, dove al tramonto, nella calma quiete della sera ci si preparava per andare a dormire. Poi le lettere non arrivarono più. Una cartolina ogni tanto, poi più.

Una sera, era andata con le amiche nell’isola madre perché in paese era arrivata la fiera, c’era festa. E lì, tra le varie luci del Luna Park, tra l’odore dello zucchero filato e le mille luci colorate di una giostra, ripensando al verso di una canzone, Giovanna idealmente capì che doveva togliersi quelle "ali affittate ad un baraccone, perché volare da soli è solamente un’illusione".

 

Capì che il suo "Guerriero" era morto combattendo in quella Crociata che era la vita vera fuori dall’isola e che era rimasto soltanto il ricordo di un amico speciale, di un ragazzo normale, lontano da lei miliardi di anni luce che, per un attimo, le era passato vicino.

Però, in un angolino, su una mensola scavata nel granito della sua camera, vicino ad un riccio viola, c’era sempre un guerriero luccicante nella sua armatura di latta, sorridente e che ogni tanto lei poggiava sul cuore per lenire un sordo dolore di una ferita che non si sarebbe mai rimarginata.