Lo stile drammatico di una pellicola cinematografica 
		generalmente, per i temi affrontati, si pone in una posizione di netto 
		contrasto nei confronti di film puramente divertenti e comici.
		
		
		
		
		
		
In un film drammatico si incentra l'attenzione 
		sull'introspezione caratteriale dei personaggi per studiarne a fondo e 
		comprenderne le motivazioni interiori che hanno dettato determinati 
		comportamenti e scelte nei personaggi principali e di contorno della 
		pellicola.
		Il dramma tende ad analizzare e a dare una spiegazione 
		plausibile ai complessi meccanismi psicologici che muovono le azioni dei 
		vari personaggi che popolano le varie scene cercando di delineare anche 
		una probabile evoluzione caratteriale. 
		Come in altri generi cinematografici, anche i film 
		drammatici possono ramificarsi in diversi sottogeneri.
		Il periodo del cinema muto vide come maggiori 
		rappresentanti del genere drammatico noti registi come David Wark 
		Griffith che diresse “Intolerance” (1916), “Nascita di una nazione” 
		(1915) con Lillian Gish, Mae Marsh e Friedrich Wilhelm Murnau che 
		realizzò “Aurora” (1927) con George O'Brien e Janet Gaynor. 
		Durante gli anni quaranta e cinquanta sulla scia 
		dell'enorme successo riscosso dal capolavoro di Victor Fleming del 1939 
		“Via col vento” (con Clark Gable e Vivien Leigh), la fiducia da parte di 
		critici e pubblico, riposta nel genere drammatico, crebbe toccando le 
		cime più alte nella storia per questo genere cinematografico. 
		Artisti della macchina da presa che innalzarono 
		notevolmente la qualità di questo genere e del cinema in generale furono 
		John Ford con “Furore” (1940) interpretato da Henry Fonda e “Com’era 
		verde la mia valle” (1941) con Walter Pidgeon e Maureen O'Hara; il 
		regista William Wyler con “La signora Miniver” (1942) con Greer Garson e 
		Walter Pidgeon e “I migliori anni della nostra vita”(1946) con Myrna Loy 
		e Fredrich March; il regista Billy Wilder che diresse “Giorni perduti” 
		(1945) con Ray Milland e Jane Wyman e “Viale del tramonto” (1950) con 
		William Holden e Gloria Swanson; il regista Elia Kazan con “Barriera 
		invisibile” (1947) con Gregory Peck, “Un tram che si chiama desiderio” 
		(1951) con Vivien Leigh e Marlon Brando e “Fronte del porto”(1954) 
		sempre con Marlon Brando; il regista George Stevens che girò “Un posto 
		al sole”(1951) con Montgomery Clift e Elizabeth Taylor e “Il 
		gigante”(1956) con James Dean, Elizabeth Taylor e Rock Hudson.
		Vere e proprie pietre miliari furono “Casablanca” 
		(1942) di Michael Curtiz con i memorabili Humphrey Bogart e Ingrid 
		Bergman, “ Eva contro Eva” (1950) di Joseph L. Mankiewicz con Marilyn 
		Monroe e Bette Davis, “Da qui all’eternità” (1953) di Fred Zinnemann con
		
		Burt Lancaster, Montgomery Clift e Frank Sinatra e 
		“Quarto potere” (1941) di Orson Welles con lo stesso regista come attore 
		nella parte di Charles Foster Kane. 
		Altra pellicola che segnò un'era generazionale fu 
		l'indimenticabile prova recitativa di James Dean in “Gioventù bruciata” 
		del 1955 diretto da Nicholas Ray, in cui il regista mostra i conflitti 
		giovanili che pilotano i frustranti comportamenti di un'intera 
		generazione che si proietta nella realtà adulta mostrando l'anima di una 
		società ormai nella fase calante del tramonto.
		La morte prematura dei tre protagonisti (Dean in un 
		incidente automobilistico, Wood annegò in circostanze misteriose e Mineo 
		fu assassinato) etichettò il film come “maledetto” aumentando il 
		processo di consacrazione della pellicola nell'Olimpo dei cult movie 
		hollywoodiani.
		A partire dagli anni sessanta, la drammaticità delle 
		pellicole si tramutò in vero e proprio realismo; lo stile che 
		caratterizzò film come “Il buio oltre la siepe” (1962) di Robert 
		Mulligan con Gregory Peck, “Vincitori e vinti” (1961) di Stanley Kramer 
		con Spencer Tracy e Burt Lancaster e “Il dottor Zivago” (1965) di David 
		Lean con Omar Sharif e Julie Christie cedettero il passo a pellicole 
		strutturate su concetti più veri e vicini alla realtà che osservavano il 
		mondo con un occhio più malinconico e pessimista.
		Il nuovo orientamento drammatico fu rafforzato da 
		pellicole come “Chi ha paura di Virginia Woolf?” (1966) di Mike Nichols 
		con Richard Burton e Elizabeth Taylor, “Gangster Story” (1967) di Arthur 
		Penn con Warren Beatty e Faye Dunaway e “Un uomo da marciapiede” (1969) 
		di 
		John Schlesinger con Jon Voight e Dustin Hoffman.
		Il cinema della “New Hollywood” continuò il suo 
		operato durante gli anni settanta con titoli come “Arancia meccanica” 
		(1971) con Malcolm McDowell e “Barry Lyndon” (1975) con Ryan O'Neal e 
		Marisa Berenson entrambi diretti da Stanley Kubrick; “Il padrino” 
		(1972), “Il padrino parte seconda” (1974), “Il padrino parte terza” 
		(1990) tutti diretti da Francis Ford Coppola e interpretati 
		magistralmente da Al Pacino.
		Altre pellicole che meritano una menzione sono 
		“Qualcuno volò sul nido del cuculo” (1975) di Milos Forman con Jack 
		Nicholson, “Quel pomeriggio di un giorno da cani” (1975) con Al Pacino e 
		“Quinto potere” (1976) con Faye Dunaway ambedue diretti da Sidney Lumet, 
		“Nashville” (1975) di Robert Altman, “Tutti gli uomini del presidente” 
		(1976) di Alan J. Pakula con Dustin Hoffman e Robert Redford, “Taxi 
		driver” (1976) di Martin Scorsese con Robert De Niro e Jodie Foster e 
		“Il cacciatore” (1978) di Michael Cimino con Robert De Niro.
		Negli anni successivi al settanta, il cinema 
		drammatico ha incominciato a trattare temi riguardanti tragedie 
		familiari; tipici esempi sono la pellicola “Kramer contro Kramer” (1979) 
		di Robert Benton con Dustin Hoffman e Meryl Streep, “Voglia di 
		tenerezza” (1983) di James L. Brooks con Jack Nicholson e Shirley 
		MacLaine e “Gente comune” (1980) di Robert Redford con Donald 
		Sutherland. 
		Alcune opere sono riuscite ad amalgamare le esigenze 
		del pubblico con la mano sapiente di grandi registi che diressero 
		affermati e talentuosi attori, producendo numerose pellicole da Oscar 
		quali: “Rocky” (1976) di John G. Avildsen con Sylvester Stallone, 
		“Amadeus” (1984) di Milos Forman con F. Murray Abraham e Tom Hulce, “La 
		mia Africa” (1985) di Sydney Pollack con Maryl Streep e Robert Redford, 
		“Rain man” (1988) di Barry Lavinson con Dustin Hoffman e Tom Cruise, 
		“Forrest Gump” (1994) di Robert Zemeckis con Tom Hanks, Robin Wright e 
		Gary Sinise, “Il paziente inglese” (1996) di Anthony Minghella con Ralph 
		Fiennes e Juliette Binoche, “A beautiful mind” (2001) di Ron Howard con 
		Russel Crowe, Ed Harris e Jennifer Connelly, “Titanic” (1997) di James 
		Csmeron con Kate Winslet e Leonardo Di Caprio, “American beauty” (1999) 
		di Sam Mendes con Kevin Spacey, “Il pianista” (2002) di Roman Polanski 
		con Adrien Brody e “The millionaire” (2008) di Danny Boyle e Loveleen 
		Tandan con Dve Patel e Freida Pinto. 
		Tra gli attuali registi che hanno lasciato il segno 
		con alcune pietre miliari del cinema possiamo trovare Oliver Stone con 
		“Nato il quattro luglio” (1989) con Tom Cruise, Clint Eastwood con “Mystic 
		river” (2003) con Kevin Bacon, Tim Robbins e Sean Penn e “Million dollar 
		baby” (2004) con Hilary Swank, Morgan Freeman e lo stesso regista 
		Eastwood, Steven Spielberg con “Il colore viola” (1985) con Danny Glover 
		e Whoopi Goldber e “Schindler’s list” (1993) con Liam Neeson e Ben 
		Kingsley.
		La produzione britannica di film drammatici deve il 
		suo contributo ad artisti come Laurence Oliver che dietro ad un macchina 
		da presa diede vita a meravigliose opere come “Amleto” (1948) con lo 
		stesso Olivier come protagonista.
		Anche le tragedie shakespeariane contribuirono a 
		rinforzare la produzione drammatica e pellicole come “Momenti di gloria” 
		(1981) di Hugh Hudson, “Il servo”(1963) di Joseph Losey e i lavori 
		diretti da James Ivory come “Casa Howard” (1992) con Vanessa Redgrave ed 
		Helena Bonham Carter e “Quel che resta del giorno” (1993) con 
		Christopher Reeve e Anthony Hopkins resero interessante e avvincente la 
		componente drammatica snobbata da molti spettatori perché ritenuta 
		troppo seria e veritiera.
		
		Segue