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QUATTRO PASSI NEL MONDO DELLA CELLULOIDE

Quanta emozione doveva esserci a Parigi in quel lontano 28 dicembre 1895 quando i fratelli Louis e Auguste Lumière organizzarono la prima proiezione pubblica.

Che fatica avere spettatori! Lo scetticismo dei passanti frettolosi, solo dopo qualche ora e con il pagamento di un solo franco decade; i primi curiosi si convincono ad assistere alla novità.

Si spengono le luci e su un gran telone bianco appare la prima immagine: è ferma e mostra l’ingresso del fabbricato dove i fratelli Lumière da diversi anni hanno studiato e provato i loro esperimenti ma…le porte del fabbricato si aprono, si vedono delle persone uscire, un’automobile attraversa l’immagine: è il movimento!

Lo stupore è grandissimo; gli spettatori occasionali si alzano in piedi, applaudono, sono shockati e increduli; inizia la storia del cinema.

Non passa molto tempo e sono sempre i fratelli Lumière che preparano i primi filmati portando sullo schermo delle brevi storielle prese dalla vita quotidiana e famigliare ma intanto, anche nel resto dell’Europa, il cinema assume proporzioni molto vaste; in Inghilterra poi, raggiunge alti indici di gradimento ma l’apogeo si ha nel 1905 in America quando, per la prima volta, si aprono le prime sale cinematografiche con più di cento posti a sedere con un pianista che commenta la trama suonando una musica di sottofondo; prezzo d’ingresso: appena un nichelino.

Tra il 1905 e il 1915 l’Italia è all’avanguardia tanto che alla fine del 1909 si realizzeranno circa 200 film per raddoppiarsi a distanza di un altro anno. Le trame variano dai grandiosi e spettacolari film storici (Beatrice Cenci, Messalina, Gli ultimi giorni di Pompei, Catilina, Quo vadis, Cabiria, ecc.) ai cinedrammi borghesi e sentimentali; ma il primato italiano, oltre che da meriti intrinseci, era dato dal paragone con le altre cinematografie.

La Francia non sapeva produrre nulla più che le comiche di Max Linder e l’America era ferma al film western a base di cavalcate, acrobazie sparatorie e inseguimenti.

Fu durante la prima guerra mondiale che, approfittando della forzata inattività italiana e francese, la cinematografia americana, sorretta da un’eccezionale ricchezza di mezzi, mosse alla conquista dei mercati copiando i grandiosi e spettacolari film storici italiani.

Nacque in quel periodo il divismo, ossia la tendenza ad accentuare l’importanza degli interpreti a discapito di quella del regista.

William Hart e Tom Mix furono gli eroi del film avventuroso; Douglas Fairbanks fu il d’Artagnan spadaccino e impetuoso, Rodolfo Valentino l’amante fatale, Buster Keaton il comico che non ride mai, Mary Pickford la fanciulla sbarazzina, Charlie Chaplin l’ingenuo vagabondo in lotta con la civiltà moderna.

Le sale cinematografiche erano più confortevoli, a volte anche riscaldate nel periodo freddo e tutta la famiglia unita si recava al cinema: il papà in giacca e cravatta e con i capelli lucidati dalla brillantina, la mamma ingioiellata e con il vestitino bon –ton, i figli con gli abiti migliori.

Andare al cinema rappresentava, per i meno ricchi, il premio alla fatica del lavoro, per i più ricchi, una novità nel divertimento quotidiano.

Si commentano le trame, si criticano e si divinizzano gli attori e le attrici; si sognano le scene molto teatrali dello schermo; quante giovani mamme si atteggiano a donne fatali, sensuali o a donne dal fascino aggressivo o a carnalissime vamp; Lyda Borelli, Francesca Bertini sono solo alcuni nomi che hanno originato il divismo femminile in Italia.

Anche gli uomini non sfuggono a questa moda: Za-la-Mort, Maciste e i giovanotti si atteggiano a superuomini soprattutto se forniti da madre natura di muscoli e di forza.

I film si fanno ad episodi e la gente parla, racconta, commenta e… rinvia alla puntata successiva la conclusione degli eventi.

E nelle altre parti del mondo?

In Inghilterra predomina il melodramma che trae ispirazione dal teatro di Shakespeare e dai romanzi di Dickens; le emozioni sono forti perché rievocano gli aspetti più duri della vita da strada.

In Russia la prima sala cinematografica si apre a Mosca nel 1903 ed il successo è tale da rasentare la mania tanto che è necessario porre dei limiti all’apertura di nuove sale e all’imposizione di un orario di chiusura.

Il cinema russo è floridissimo ma dominato dai francesi che - contando su concessioni doganali e su una censura blanda e compiacente soprattutto in materia di pornografia - operano con grande influenza.

In Francia, tra alti e bassi, la Gaumont che ha soppiantato la Phaté individua un nuovo meccanismo per la retribuzione degli attori, dei registi, dei tecnici: sono assunti come impiegati e come tali pagati.

Louis Feuillade, giornalista, regista, sceneggiatore contribuirà a fare della Gaumont la società che produrrà film seriali passando dal comico al poliziesco; uscirà la serie di Fantomas con un successo strepitoso.

Gli Stati Uniti danno vita al cinema comico e creano il western del quale David Wark Griffith è il primo cineasta del genere.

Il film The birth of a Nation del 1915 è ambientato nella guerra di secessione fra nordisti e sudisti; opera superba che apre la strada al vero western.

Il film tratta argomenti scabrosi: la schiavitù, la razza nera; ne nascono polemiche, accuse di razzismo: un enorme scandalo ma, si sa, che lo scandalo porta il successo.

Un altro grande nome americano è Cecil B. De Mille che negli anni ’20 s’impegnerà su una serie di Kolossal come I dieci comandamenti, Il Re dei Re,…

Siamo ancora nel cinema muto e negli Stati Uniti sorge Hollywood - la Mecca del cinema – si consolidano i generi western, la commedia, i kolossal e si affermano le comiche di Charlie Chapin, Buster Keaton, Harold Lloyd, Harry Langdon.

Il passaggio dal muto al parlato avviene alla fine degli anni ’20 e alla vigilia degli anni ’30 il cinema è uno dei settori più remunerativi dell’industria americana.

Grandi "studios" dominano la produzione:

La UNIVERSAL (1912) il cui simbolo è un globo terrestre che gira nel sistema planetario; è la casa cinematografica specializzata in effetti speciali destinati ai film dell’orrore e ai film fantastici.

L’attrice più conosciuta è Mae West.

La PARAMOUNT (1914) il cui simbolo è la cima di un monte con una aureola di stelle. I suoi film, tutti d’alto prestigio, erano interpretati da attori altrettanto importanti: Marlene Dietrich, Claudette Colbert, Gary Cooper, Cary Grant.

La UNITED ARTISTS (1919) fondata da Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks, Mary Pickford e D.W.Griffith.

La COLUMBIA PICTURES il cui simbolo è una figura femminile che tiene alta una fiamma. Fu resa illustre negli anni ’30 dai film di Frank Capra.

La METRO GOLDWYN MAYER (1924) il cui simbolo è un leone ruggente (un leone di circo che paradossalmente aveva il nome di Pastafrolla) esaltava le scenografie fastose e i melodrammi; i divi erano Greta Garbo, Joan Crawford, Elisabeth Taylor, Clark Gable, Spencer Tracy.

La FOX che si fonderà nel 1935 con la 20th CENTURY FOX il cui simbolo è rappresentato da riflettori che si muovono nello spazio; è la società che creerà il personaggio della bambina prodigio Shirley Temple.

La WARNER BROS il cui simbolo è uno scudo; produsse il primo film parlato anticipando tutte le altre grandi case cinematografiche; la sua specializzazione erano i violenti film di gangster e i film d’azione. Gli interpreti erano Errol Flynn, Bette Davis, James Cagney e Hamphrey Bogart.

La RADIO CORPORATION OF AMERICA – RKO- il cui simbolo è un triangolo e una saetta; è la società che lancia Katherine Hepburn e la coppia Fred Astaire e Ginger Rogers.

I generi cinematografici che "tirano di più" sono numerosi: il fantastico mutuato dalla cinematografia tedesca e la Universal propone Frankestein, Dracula.

Piace molto andare al cinema e provare le emozioni del brivido, della paura, della morbosità, dell’orrore. Parecchi spettatori si vantano del loro coraggio mentre altri confessano le paure provate.

Un genere cinematografico che fece sognare tanti anni perché quasi rasentava la favola fu la commedia; il regista Frank Capra - specialista nel genere – con il film "Accadde una notte" interpretato da Clark Gable e Claudette Colbert si aggiudicò cinque Oscar e fu un trionfo per la Columbia.

Un altro genere cinematografico di allora fu quello comico che, con il sonoro, si modificò molto passando dall’arte del mimo all’arte della satira con l’affermazione prima dei fratelli Marx e poi dei mitici Stanlio e Ollio che con le loro irresistibili gags riuscirono ad amalgamare la mimica alla satira lavorando per la M.G.M..

Hanno fatto divertire tutto il mondo il "magrolino e il grassone", "il braccio e la mente"; che accoppiata! Che risate di cuore in tutto il mondo!

Anche il genere dei film di gangster è dominante in America: siamo negli anni ’30 caratterizzati dal proibizionismo e dalla criminalità organizzata. Intrigano i personaggi come Al Capone, Bonnie & Clyde e John Dillinger. Il cinema non ne è avulso ed in breve il soggetto "crimine" si trasforma in una florida industria soprattutto per la Warner Bros.

I film del genere western esaltano la figura del cow boy mortificando quella dell’indiano. All’inizio è un western soft: il cow boy è sempre sbarbato, pulito, con il fazzoletto al collo ben stirato, di indole buona, pacifica e l’indiano è intelligente, selvaggio solo per metà.

Ci vuole ancora qualche anno per avere un western più aderente alla realtà ed è il film "Ombre rosse" di John Ford per la United Artists che modifica i personaggi, i contesti, le scene. Un superbo John Wayne riesce a trasfondere l’azione, il clima di pericolo che incombe sui viaggiatori che affrontano un itinerario minacciato dalle scorrerie indiane.

Gli spettatori ne sono rapiti, i ragazzi parteggiano chi per i cow boys, gli sceriffi, chi per gli indiani.

Nei giochi dei bambini i personaggi western rivivono: si sentono sparare le pistole giocattolo, si appuntano le stelle di latta sul petto, riecheggiano gli ululati di Sioux, Piedi neri, Apaches…; è sufficiente una penna di gallina inserita sotto ad un nastrino e i bimbi fanno rivivere i grandi capi indiani.

Per i bambini c’è anche la cinematografia animata di Walt Disney; nel 1927 nasce Mortimer detto poi Mickey Mouse - Topolino – protagonista di una serie non interrotta ma completata con altri personaggi - Paperino, Pluto, - resi popolari anche da contemporanee pubblicazioni di racconti a fumetti.

Nel 1939 cominciarono i lungometraggi animati primo dei quali: "Biancaneve e i sette nani".

Alla vasta produzione di cartoni animati occorre aggiungere tutte le altre fertilissime attività di Walt Disney che occupa un notevole posto nella storia del costume, appunto, per aver condizionato con la sua opera in vari campi, dal ricreativo al didattico attraverso giornali, cinema, televisione e industria del divertimento, più di una generazione di bambini. Particolarmente interessanti i documentari sui più singolari aspetti della vita animale e vegetale nel mondo.

Ma in Italia che cosa succede negli anni ’30?

A parte i film storici, le commedie e i film popolari, il periodo è caratterizzato dal cinema dei telefoni bianchi e dai film di regime.

Il cinema dei telefoni bianchi comprende film in cui predomina la differenza di ceto e di censo: la dattilografa e il suo datore di lavoro per esempio o il giovane di belle speranze ma squattrinato e la signora dell’alta società; sono film che fanno sognare i più poveri, i più umili, coloro che non hanno un granché ma sognano il bel mondo e il lusso sfrenato senza conoscerne i veri confini.

Nel 1937, alle porte di Roma, si costruisce un complesso unico in Europa: è Cinecittà e ci si avvicina agli anni ‘40 che vedono una grande innovazione tecnica: il colore ed un forte sussulto di risveglio culturale

Nasce in questi anni (1946) – anticipato da "Ossessione" di Luchino Visconti, girato durante la guerra –, il neorealismo che ha la sua espressione in una serie di film eccezionali, destinati a commuovere prima le platee straniere che quelle italiane.

Roberto Rossellini presenta "Roma città aperta" un drammatico scorcio della capitale sotto l’ancora presente occupazione tedesca.

Anna Magnani offre nei panni di una popolana, una delle sue più grandi interpretazioni.

Lo stesso regista realizza subito dopo "Paisà" (1947): una raccolta d’episodi che evocano l’Italia dolorosa e fiera dell’ultimo periodo della guerra.

Questi film saranno seguiti, nel 1948, da "Ladri di biciclette"; un film in cui Vittorio De Sica - servendosi d’interpreti non professionisti – crea personaggi indimenticabili: il disoccupato al quale rubano l’unico mezzo di lavoro e il figlio con il quale compirà una vana peregrinazione per la città alla ricerca della bicicletta.

Dello stesso anno è un altro capolavoro: "La terra trema" di Luchino Visconti; si tratta di un film amaro, aspro e dolente, ambientato in Sicilia fra i pescatori.

Era nato un cinema nuovo, un cinema vero che soppiantava la commedia, i melodrammi, i film di costume che cercavano di competere con la celluloide hollywoodiana senza riuscirci per mancanza di analoghe strutture.

Tra il 1952 e il 1953 il neorealismo si trova a perdere di mordente: la guerra è finita da qualche anno e si pensa a risalire la china, perciò l’attualità cinematografica è rappresentata da altri filoni; in primis, la commedia all’italiana che da una parte è legata al neorealismo ma si differenzia da esso per la leggerezza della trama e per il lieto fine delle storie narrate; il più delle volte dietro alle risate si maschera l’amarezza e l’inquietudine che caratterizza la realtà dei fatti dell’epoca.

Il grande personaggio della commedia all’italiana è Totò, sfruttato in parti mediocri e non utilizzato nel pieno delle sue capacità.

Altri nomi lo affiancano: Aldo Fabrizi, i De Filippo, Gino Cervi, Walter Chiari, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e fra le attrici la palma è contesa fra Sophia Loren e Gina Lollobrigida.

La commedia all’italiana piace perché, in chiave allegra, è uno specchio della vita quotidiana e il filone "tira" fino alle soglie degli anni ’70. Come si possono dimenticare la serie dei film di Don Camillo e la serie dei film con capostipite "Pane amore e fantasia"?

Il film simbolo della commedia all’italiana è "Il sorpasso" di Dino Risi (1962) dove i due personaggi incarnano bene le due figure contrapposte: lo sbruffone, esibizionista (Vittorio Gassman) e il timido e impacciato (Jean Louis Trintignant).

Ma i difficili anni’40 del cinema nel resto dell’Europa che cosa producono?

La Francia adotta il filone neorealista ma nei primi anni ’40 è fortemente soggiogata dalla produzione americana; si ridesta quasi subito grazie alla bravura di Robert Bresson, Jean Cocteau e Jacques Tati.

La Gran Bretagna, grazie a Laurence Olivier, mette in visione due grandi capolavori: Enrico V e Amleto. Nel girare le scene Laurence Olivier pretende la fedeltà assoluta al reale: le armi sono vere, i duelli si avvicinano talmente alla realtà che lo stesso Olivier subirà delle ferite.

Ma ormai in tutto il mondo lo spettatore vuole questo: il perfezionismo.

In America gli anni ’50 si aprono con il film "Giungla d’asfalto" di John Huston che propone la caccia all’uomo nella giungla della metropoli.

Gli anni ’50 sono per l’America la seconda generazione del cinema e l’apice della sua attività produttiva pur se con una alternanza di alti e bassi.

Il cinema americano invade l’Europa, soppianta la produzione francese in virtù di accordi economici e quella britannica.

Le pellicole americane impongono definitivamente il colore prima, e nuove tecniche poi: rilievo, schermo panoramico come il cinemascope il cui primo film fu "La tunica" (1953) e, più avanti, suono magnetico e il cinerama.

Aumenta vertiginosamente il numero dei drive in apparsi per la prima volta nel 1946.

Spopola Alfred Hitchcock - il maestro del thriller- che getterà le basi di quello che sarà il nuovo cinema degli anni ’70 e ’80.

Sono di quell’epoca "L’altro uomo" (1952), "Delitto per delitto" (1952), "Delitto perfetto" (1954), "La finestra sul cortile" (1954), "L’uomo che sapeva troppo" (1956), "La donna che visse due volte" (1958), "Intrigo internazionale" (1959).

Sono anche gli anni del musical, del dramma e del western.

Gene Kelly e Stanley Douen reinventano la commedia musicale con il film "Cantando sotto la pioggia" (1952); è uno dei più bei film musicali mai realizzati.

Gene Kelly è un ballerino d’eccezione, è scattante, funambolico, ha e trasmette il senso del ritmo, è simpatico, accattivante, piroetta sulla scena con una tale naturalezza che ogni suo passo sembra di una semplicità scontata. Le coreografie fanno sognare, mettono l’allegria in corpo; si esce dalla sala cinematografica con la voglia di ballare, con il ritmo soffocato addosso.

Nel 1954 George Cukor rilancia il dramma con "E’ nata una stella": un melodramma amaro e avvincente con Judy Garland, una interprete perfetta per la parte e la sua fama farà il giro del mondo.

Anche il filone western è rinnovato con Antony Mann e con il film "Winchester" che vede in James Stewart un allampanato cow boy dal volto dolce e gentile ma dal carattere forte.

Al di la dei citati filoni si impongono anche dei personaggi indimenticabili così intimamente legati ai film che hanno interpretato da rendere impossibile la inscindibilità: "Il selvaggio" con Marlon Brando; "Marty" con Ernest Borgnine; "Mezzogiorno di fuoco" con Gary Cooper; "Il cavaliere della valle solitaria" con Alan Ladd; " La valle dell’Eden","Gioventù bruciata" e "Il gigante" con James Dean, un attore enigmatico, affascinante, tenebroso, dominato da una personalità folgorante che ha fatto innamorare la platea femminile di tutto il mondo e posto sulla vetta dell’olimpo della celluloide per la sua morte prematura così come avvenne per un altro mito del cinema: Marilyn Monroe che negli anni ’50 raggiunse la celebrità con il musical.

Sono ancora gli anni in cui tutta la famiglia riunita va al cinema, le sale sono gremite e molto spesso si assiste anche a lunghe file per mancanza di posti a sedere.

Andare al cinema piace ancora molto, i film si vedono anche più volte e sono frammezzati da notizie di cronaca, di attualità ed il pettegolezzo ed il piccolo scandalo intrigano. L’interesse per il cinema si riflette anche sulla editoria; pubblicazioni settimanali aggiornano – con fotografie prese dai provini cinematografici e brevi sunti – i lettori sulla trama. Ci sono commenti, critiche di pubblico e di stampa, nascono i premi. Le sale di aspetto dei cinema sono tappezzate con le fotografie dei divi più famosi e molti giovani tengono sul comodino la foto del loro attore preferito.

Nel 1957 da una inchiesta condotta da l’Express sulla gioventù francese emerge una novità: i giovani cineasti si interessano al cinema con spirito critico e combattivo; nasce la "novelle vague" con lo scopo di demolire i vecchi canoni consolidati del cinema tradizionale anche se, all’inizio la tendenza era quella del cinema-verità.

Sono prodotti numerosi film impertinenti, accusatori, critici che portano alla ribalta storie nuove, reali, anche scabrose che nessuno mai prima d’ora aveva avuto la voglia di presentare.

I più conosciuti: "Les Amants" (1958) di Louis Malle con Jeanne Moreau; il film fece scandalo per la immoralità della trama e per le scene troppo audaci per l’epoca; "Hiroshima mon amour" (1959) di Alain Resnais; "Fino all’ultimo respiro" (1969) di Jean Luc Godard con Jean Paul Belmondo che narra l’uccisione di un poliziotto da parte di un malvivente.

Poi, le personalità più spiccate della nouvelle vague continuarono ciascuna per suo conto un discorso artistico personale e il fenomeno perse ogni forma di coesione e coerenza.

Anche l’Inghilterra è percorsa da una ventata di rinnovamento anche se non così netta come quella della novelle vague francese: i canoni sono quelli tradizionali ma più creativi e più vicini alla realtà quotidiana dando risalto più ai problemi concreti della vita.

Il film cardine del "free cinema "inglese è "Sabato sera, domenica mattina" (1960) di Karel Reisz: un mixer di commedia brillante, sarcastica e umorismo caustico in un mondo piccolo borghese di benessere e volgarità.

Negli anni successivi la tendenza inglese si orientò verso le riduzioni dei classici, i costosi film in costume o i film di spionaggio come la famosa serie, commercialmente assai fortunata, dell’Agente 007 di Thomas. Young.

Il genere che piace molto negli anni ’60 in Italia è anche il western di Sergio Leone che stravolge i canoni del western americano classico: non c’è più il cow boy sbarbato, l’indiano intelligente, la bella del saloon; c’è invece la violenza, il tradimento, la vendetta, la legge del taglione. Nascono "Per un pugno di dollari" (1964), "Per qualche dollaro in più" (1965), "Il buono, il brutto e il cattivo" (1966), "C’era una volta il west" (1968): una storia di vendetta legata alla colonizzazione violenta da parte dei costruttori di ferrovie.

Negli stessi anni un altro grande nome: Dario Argento che con "L’uccello dalle piume di cristallo" crea un nuovo genere di thriller destinato a spettatori amanti delle sensazioni più forti.

In Italia ci sono tanti mitici nomi: Michelangelo Antonioni che nei suoi film affronta i problemi della esistenza, della solitudine dell’uomo nella società e nell’amore. Ne sono di esempio "L’avventura" (1959) con Lea Massari, Monica Vitti e Gabriele Ferzetti; "La notte" (1960) con Marcello Mastroianni; "Deserto rosso" (1964) con Monica Vitti; "Blow up" (1966) con Vanessa Redgrave e David Hemmings.

Federico Fellini che con "La dolce vita" (1959) trasferisce nella macchina da presa tutta la sua complessa personalità aprendo un nuovo discorso sulle inquietudini della società contemporanea.

Il film è il simbolo dell’epoca caotica, cinica, volgare, annoiata dal lento scorrere della vita.

Stelle di primo piano tra gli attori: Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Sandra Milo, Anouk Aimée, Claudia Cardinale.

Pier Paolo Pasolini, molto contestato, molto criticato per quella sua ferrea posizione di comunista convinto, ossessionato dalla religione e dal mistero del sacro. Ne "Il Vangelo secondo Matteo" (1964) Pasolini presenta un Cristo duro e scandaloso; "Uccellacci e uccellini" (1966) con Totò e Ninetto Davoli; "Teorema" (1968) con Terence Stamp, Massimo Girotti, Silvana Mangano, Laura Betti.

Francesco Rosi che con i suoi film narra i fatti di cronaca politica e sociale come fosse un giornalista. "Salvatore Giuliano" (1961) presenta l’inchiesta sul bandito che si diede alla mafia; "Le mani sulla città" (1963) narra della speculazione edilizia di Napoli.

Luchino Visconti che trasporta tutto il suo impegno nella ricostruzione minuziosa di ambienti ed eventi storici. "Rocco e i suoi fratelli" (1960) in cui si consuma la tragedia familiare; "Il Gattopardo" (1963) con una ricostruzione storica perfetta; "La caduta degli dei" (1969): l’ascesa del nazismo in Germania; "Morte a Venezia" (1970) che celebra il legame tra la omosessualità e l’estetismo, tra la morte e la bellezza.

Non si possono, poi, dimenticare Lizzani, Lattuada, Monicelli, Germi, Comencini, Pontecorvo, Rossellini, Antonioni.

Gli anni ’60 americani si presentano con una alternanza di mode talora fertili talvolta decadenti; forte è la influenza della televisione, ancora più forte è la voglia di rinnovamento abbandonando le dipendenze artistiche alle modalità di produzione; è cambiato il contesto politico in quanto siamo in pieno periodo kennedyano; la violenza razziale diventa pesante; l’America è impegnata nella guerra del Vietnam; nasce la moda dei figli dei fiori; si sviluppa una cinematografia indipendente dove l’improvvisazione è uno degli elementi chiave della nuova tendenza: i filmmakers, registi socialmente impegnati che operano - generalmente con pochi mezzi – al di fuori delle strutture commerciali controllate dalle grandi compagnie.

Tutto ciò si riflette sulla produzione cinematografica e Hollywood cede il passo in quanto si comincia a parlare della nuova scuola di New York.

Il 5 agosto 1962, a Los Angeles, muore Marilyn Monroe; con lei scompare un grande mito del cinema.

Quando iniziano gli anni ’70 è il pubblico americano che chiede argomenti nuovi, più attuali come quelli di discutere dei giovani, dei loro problemi e della loro identità.

Gli orrori della guerra del Vietnam condizionano per un decennio la cinematografia che all’inizio degli anni ’70 è critica e contestataria per diventare più cauta ed attenta verso la fine. "Fragole e sangue" (1970) di Stuart Hagmann ne prova le prima versione e "Apocalypse now" (1979) di Francis Ford Coppola è il vero capolavoro sulla guerra in Vietnam.

L’America appena uscita dalla guerra in Vietnam -seppur combattuta a distanza- subisce il grave disagio politico e sociale delle numerose stragi di giovani combattenti e cerca di spostare i suoi gusti cinematografici su altri filoni scegliendo i soggetti della violenza metropolitana e del complotto politico. Con i film "Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo" (1971) di Don Siegel, "Cane di paglia" (1971) di Sam Peckinpah e "Quel pomeriggio di un giorno da cani" (1975) di Sidney Lumet è messo in evidenza il mondo crudele e privo di umanità che lascia aperti tanti discorsi.

Gli Stati Uniti stanno anche vivendo il dramma della incertezza politica: la corruzione del Presidente Richard Nixon; il caso Watergate porterà alla proiezione del film "Perché un assassino" (1974) di Alan J.Pakula ponendo in risalto la esistenza di una organizzazione segreta che complotta per porre in essere attentati verso i politici: una chiara allusione all’omicidio dei Kennedy.

Dello stesso genere sono "I tre giorni del condor" (1975) di Sidney Pollack e "Tutti gli uomini del presidente" (1976) di Alan J. Pakula che narra dello scandalo Watergate.

L’influenza di questi grossi temi fa si che le preferenze del pubblico cambino ancora: è riscoperta la famiglia dopo che sono usciti di scena gli hippies, la donna rivendica la sua indipendenza, emerge la sessualità.

Hollywood perde terreno ed è il cinema newyorkese che ha la prevalenza con tre importanti nomi: John Cassavetes, Paul Mazursky e Woody Allen.

Nuovi autori si presentano alla ribalta sono: Martin Scorsese con "Taxi driver" (1976) e "New York, New York" (1977); Sidney Pollack con "Come eravamo" (1973); Francis Ford Coppola con "Il padrino" (1972); Steven Spielberg con "Incontri ravvicinati del terzo tipo" (1977) che portano di nuovo Hollywood al primo posto della cinematografia mondiale.

Anche l’Italia non è da meno; i maestri della cinematografia sono ancora fortemente all’opera e se pur con contenuti diversi tengono bene il passo; la commedia all’italiana è ancora vitale e la cinematografia è in grado di competere con le proposte straniere.

Nel periodo 1968/70 l’industria cinematografica italiana raggiunge picchi ragguardevoli e le sale, malgrado il rincaro dei biglietti di ingresso sono ancora affollate.

L’elenco dei film prodotti è lunghissimo; ne valga solo qualche esempio; "Teorema" (1968), "Porcile" (1969), "Medea" (1969), "Decamerone" (1970) di Pier Paolo Pisolini; "Satyricon" (1968) di Federico Fellini; "La caduta degli Dei" (1969), "Morte a Venezia" (1970) di Luchino Visconti.

Anche i primi anni ’70 rappresentano una stagione fertilissima per la cinematografia italiana e nulla lascia intendere che si tratti di una ultima felicissima coda che porta alla crisi del cinema italiano.

Alcuni esempi dei primi anni ’70: "Amarcord" (1973), "Casanova" (1975) di Federico Fellini; "Ludwig" (1972), "Gruppo di famiglia in un interno" (1974) di Luchino Visconti; "Zabriskie point" (1970), "Professione reporter" (1974) di Michelangelo Antonioni; "I racconti di Canterbury" (1972), "Il fiore delle mille e una notte" (1973), "Salò o le 120 giornate di Sodoma" (1975) di Pier.Paolo.Pasolini; "Il caso Mattei" (1971) e "Lucky Luciano" (1973) di Francesco Rosi che con Damiano Damiani e Elio Petri portano sugli schermi italiani il cinema di impegno politico.

Ci sono anche i nuovi talenti che si affacciano nel decennio: Bernardo Bertolucci con il discusso "Ultimo tango a Parigi" (1972) e "Novecento – attoI e atto II" (1975); Marco Bellocchio con "Sbatti il mostro in prima pagina" (1972) e "Marcia trionfale" (1976); Ettore Scola con "C’eravamo tanto amati" (1974), "Brutti, sporchi e cattivi" (1976) e "Una giornata particolare" (1977); Ermanno Olmi con "L’albero degli zoccoli" (1977); Marco Ferreri con "La grande abbuffata" (1973), "L’ultima donna" (1976) e "Ciao maschio" (1977):

Malgrado che la produzione proceda a gonfie vele comincia ad insinuarsi nel cinema italiano un certo malessere. I film sono d’altissimo livello; il genere è il più svariato ma le sale cominciano a vuotarsi.

Occorre un rinnovamento e sulla scena arriva Maurizio Nichetti con "Rataplan" (1979): il film piace, è comico anche se surreale ma, passata l’euforia della novità e della sorpresa, la sua comicità non tira più.

La vera figura innovativa, invece, è quella di Nanni Moretti; scontroso, altezzoso, politicamente impegnato, molto apprezzato all’estero, Moretti s’impone nel 1976 con "Io sono un autarchico" in cui fa emergere le delusioni di un sessantottino sfortunato e con "Ecce Bombo" (1977) presenta una gioventù avulsa da traguardi, impastata di luoghi comuni e banalità.

Negli anni’80 il cinema italiano entra in una profondissima crisi: e la prima responsabile è la televisione, sia essa pubblica o privata, che, proponendo a tutte le ore film sul piccolo schermo, allontana definitivamente il pubblico dalle sale..

Le sale cinematografiche cominciano a chiudere e il cinema americano monopolizza il mercato.

Accanto a Nanni Moretti sono sostanzialmente due i registi di un certo peso negli anni ’80 e ’90: Giuseppe Tornatore che debutta nel 1986 con "Il camorrista" e Gabriele Salvatores che con il film "Mediterraneo " (1991) porta sullo schermo un film da premio oscar.

Ma è solo la fine del millennio che porta due nomi che scuotono il mondo cinematografico: Leonardo Pieraccioni e Roberto Benigni.

Il primo viene dal cabaret e con i film "Il ciclone" (1996) e "Fuochi d’artificio" (1997) batte ogni record di incassi. Il filone è quello della commedia brillante, gradevole, briosa che si rivede volentieri: è divertente.

Il travolgente Roberto Benigni che con il film "La vita è bella " del 1997 dà un insperato impulso alla cinematografia italiana. E’ un personaggio altamente satirico, nevrotico, esuberante, imprevedibile, a volte anche troppo caricato e beffardo ma piace, diverte e guadagna per l’Italia un premio oscar. Ci riproverà con "Pinocchio" (2002) ma non sarà la stessa cosa.

Viene spontanea, a questo punto, una domanda: " Il cinema è morto"? Non è facile rispondere se non con altre domande: se la risposta è no la sfida è nella tecnologia? E qual è la dimensione degli investimenti?

Diana Onni
 

 

 

 

 

 

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