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La poetica di Giovanni Boccaccio

Giovanni Boccaccio nasce a Certaldo, nel fiorentino, nel 1313, come figlio illegittimo di un grande agente della Banca dei Bardi. Questa informazione è fondamentale per conoscere completamente l’esistenza dell’autore fiorentino. Infatti, verso i 15 anni, il Boccaccio viene inviato a Napoli per fare esperienza in una succursale della Banca dei Bardi, sede dove il padre è direttore e socio dei Bardi stessi. Qui lavora come commesso e riesce ad avere un rapporto diretto con il tenore di vita dell’alta società dell’epoca, acquisendone i gusti e l’educazione.

A rendere maggiormente affascinante il mondo che va a conoscere Boccaccio contribuisce la figura del sovrano di Napoli, quel Roberto d’Angiò che ha fatto, durante il suo regno, della città partenopea una operosa fucina di cultura.

Grazie a questo clima il giovane e futuro autore inizia un percorso formativo sia seguendo dei maestri (Cino da Pistoia su tutti), sia iniziando un percorso da autodidatta che lo porta a conoscere sia le opere dei classici che dei contemporanei.

A questo periodo corrispondono una serie di opere in cui si nota l’entusiasmo per la vita e la gioia per una esistenza pienamente appagante. È un’epoca, quella napoletana, in cui il Boccaccio si cimenta con le prime passioni amorose. In ogni caso l’autore non parla di questo sentimento come una situazione autobiografica, ma piuttosto si rifà, come era nel gusto dell’epoca, a dei modelli e canoni già conosciuti.

Ad esempio, tra le opere giovanili del Boccaccio citiamo il Filostrato (vinto d’amore) che è un poema amoroso ambientato in epoca classica. Anche il Filocolo (fatica d’amore) parla sempre di amore, secondo i canoni vigenti dell’ars amandi, recuperando una nota leggenda medioevale e mettendola in prosa.

A questo clima idilliaco corrispondono, negli anni successivi, un decennio di forti difficoltà per il Boccaccio. Infatti nel 1340 fallisce la banca dei Bardi, fatto che costringe l’autore a tornare a Firenze e a restare in forti ristrettezze economiche. Ad aumentare le difficoltà per la sopravvivenza dell’autore contribuisce l’arrivo della peste, nel 1348, a Firenze. Più che una malattia, una vera e propria strage, dato che ha decimato la popolazione della città toscana.

A questo periodo della vita del Boccaccio corrispondono le opere Elegia di Madonna Fiammetta (1343 - 1344) e il Decamerone (1349 - 1351). Nella prima, una poesia, si parla della nostalgia dell’autore per quel mondo dorato che era stato costretto ad abbandonare, oltre ad una nuova concretezza nel parlare d’amore, le sue sono parole di chi ha già amato e ne è uscito deluso. Nella seconda opera, in prosa, viene inserita come cornice principale il momento della peste a Firenze. Inoltre i personaggi raccontati in questa opera sono i componenti di tutta la società dell’epoca. Dalle classi più agiate, conosciute nel suo periodo napoletano, ai personaggio coloriti che popolano bassifondi, una situazione che il Boccaccio conosce nel suo ritorno fiorentino. In ogni caso l’autore dimostra una grande “democraticità” sociale, parlando di ogni classe sociale con la stessa precisione e cura.

La visione disincantata della realtà espressa nel Decamerone aumenta notevolmente il carisma di Boccaccio tra i suoi concittadini. Nella Firenze post peste, una città con molto meno popolazione e in netta difficoltà economica, il Boccaccio viene scelto per numerosi incarichi politici.

In questo periodo della propria esistenza, sicuramente più appagante sotto il profilo morale, ma da vivere sempre in ristrettezze economiche, l’autore scopre in maniera ancora maggiore i classici latini. Una parte fondamentale di questa nuova passione dello scrittore toscano è dovuta all’amicizia nata con Francesco Petrarca.

In questo periodo, oltre ad un lavoro di recupero di materiale classico, come ad esempio opere di Varrone e Cicerone, il Boccaccio inizia una operazione filologico - culturale effettuando studi sulle tradizioni erudite dei classici. Da questo lavoro derivano, ad esempio, opere come “De genealogiis deorum gentilium” e “De claris mulieribus”, in cui vengono elencate tradizioni e personaggi famosi della grande epopea dei classici latini e greci.

Il grande impegno profuso dall’autore in questo senso fa della sua casa fiorentina una “base” dove si incontrano i maggiori talenti dell’epoca. Una vera e propria officina per il futuro umanesimo fiorentino.