AMBIENTE E NATURA: AL CENTRO DEL NOSTRO PROGETTO rubrica di CORRERENELVERDEONLINE

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DL n° 230/1995 modificato

D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448

 

 


 

 

 

Ambiente e Natura: per vivere meglio con più consapevolezza

Storie antiche di monaci e alberi Il "Codice Forestale Camaldolese"

Nella drammatica contingenza odierna di una dolosa e dolorosa distruzione del patrimonio boschivo italiano, segno inequivocabile della caduta di una cultura e dunque di una civiltà consapevole del rapporto vitale tra uomo e ambiente, il Collegium Scriptorium Fontis Avellanae propone uno studio vasto e mai affrontato intorno al "Codice Forestale Camaldolese", testimonianza storica e ambientale di straordinario valore.

Il Collegium, creato nel Monastero Benedettino Camaldolese di Fonte Avellana nel 1997, ha l’intento di affrontare in modo interdisciplinare le tematiche umanistiche proposte dall’attuale momento di riflessione culturale, spirituale, sociale, tecnologica.

L’occasione offerta dall’Anno Internazionale delle Montagne, promosso dall’ONU nel 2002, ha suscitato l’interesse del Collegium che risiede in un monastero ultra millenario nel cuore dell’Appennino marchigiano. L’opportunità di proporre alla conoscenza e alla ricerca scientifica forestale l’esperienza plurisecolare della forestazione vissuta dai monaci camaldolesi è parsa quanto mai attuale. Non solo quale conoscenza storica ma anche quale opportunità di ricerca e di esplorazione dei territori appenninici di oggi

Parlare del rapporto spirituale, tecnico, sociale ed economico dei monaci-eremiti di Camaldoli con la "loro" foresta, antica quanto l’Appennino tosco-romagnolo, che li ha accolti e che da loro ha ricevuto una cura che l’ha conservata e impreziosita fino a divenire modalità di coltura per gli altri centri camaldolesi disseminati in Appennino, significa aprire un orizzonte che si estende per quasi nove secoli di storia. Questo, infatti, va dal fiorire della presenza monastica in quel luogo, attorno agli anni 1020, fino alla soppressione sabauda del 1866 che incorporò l’eremo, il monastero e la foresta alla proprietà demaniale del nuovo Stato Italiano.

Quasi nove secoli di lavoro svolto da monaci che hanno attinto alla spiritualità dell’oriente cristiano e al suo rapporto fortemente simbolico di comunione con l’intera Creazione.

Lo stesso lavoro ha inoltre mutuato dalla vasta esperienza giunta dalle regioni venete una tecnica di amministrazione forestale ancora oggi non superata.

Le ragioni spirituali e in particolare la forte "gelosia" per la vita eremitica, fecero sì che il rapporto esistenziale monaco-ambiente fosse garantito dalle pagine dei codici che hanno accolto e conservato le regole e le consuetudini caratterizzanti la vita dei monaci-eremiti di Benedetto e Romualdo.

Il Libro divenne così il testimone di un cammino fedele alla scelta fondamentale dell’ascolto di Dio e dell’Uomo che per compiersi ha bisogno di quell’eloquente silenzio che solo la natura incontaminata sa offrire e di un cammino altrettanto fedele alla dinamicità di chi, appunto perché ascolta, si fa attento ai tempi e ai luoghi che attraversa.

Perciò nel Libro, lungo i secoli, troviamo le costanti attenzioni e tensioni spirituali che hanno reso i monaci custodi gelosi del patrimonio forestale. Vi è poi un’autentica galassia di "fogli", cioè di documenti sparsi lungo i secoli, in cui troviamo uno straordinario coniugarsi di problemi tecnici, economici, sociali e giuridici che la conservazione oculata di quel patrimonio ha richiesto e prodotto insieme.

 

Il Libro

Nello scritto agiografico in cui Pier Damiani tenta, per primo (1042), l’interpretazione teologica della vita di Romualdo (+ 1027), iniziatore della riforma camaldolese, si legge che il giovane duca ravennate, affascinato dai luoghi selvosi dove spesso lo conduceva la passione per la caccia, esclamava: "Come potrebbero, gli eremiti, abitare felici in queste boscose solitudini; quanto vi

potrebbero vivere pacificati, salvati dal chiasso che distrae!" (da Petri Damiani, Vita Beati Romualdi, a cura di Giovanni Tabacco, Roma 1957).

Sembra risuoni l’eco di queste "boscose solitudini" nella pergamena su cui è vergato l’atto con il quale il vescovo Tedaldo d’Arezzo, nel 1027, dona agli eremiti di Romualdo le terre appenniniche che ospitano la neonata e ultima edificazione dell’ormai vecchio Ravennate, cioè l’Eremo di Campo Amabile (poi denominato Camaldoli dal nuovo toponimo della fine del 1200): "Dal terzo lato vi sono monti selvaggi presso le incolte balze dell’Alpe" (De terbio latere sunt feri montes apud intonsa juga Alpium) (da Tedaldo Vescovo, Atto di donazione, 1027. "Annales Camaldulenses", t.II, pp. 10-11).

In quella radura Romualdo ha costruito la sua "Laura" o villaggio eremitico tanto simile all’Eremo della tradizione bizantina. Intorno ad essa la superba foresta allo stato ancora selvaggio, "intonso", la difende dal "rumore che impedisce l’ascolto". Quel silenzio fu gelosamente custodito e difeso dai monaci che in esso soltanto vedevano, e vedono ancora, lo strumento e la condizione indispensabile per porsi in una situazione di ascolto, cioè di accoglienza di Dio e dell’uomo. Da questa "gelosia" è nato nei monaci l’amore per la loro foresta e il desiderio sempre più vivo di conservarla, di ampliarla, di arricchirla gestendola con cura competente. Alla radice del loro rapporto con l’ambiente non vi è dunque una semplice preoccupazione di carattere tecnico. Il silenzio della foresta garantisce il loro quotidiano ascolto della Parola. Oserei dire che il loro rapporto con l’ambiente non nasce da considerazioni tecniche o tanto meno "ecologiche", ma da una dimensione teologica radicata in loro dalla consuetudine con la Parola di Dio che crea, ama, sostiene e porta a compimento il progetto di armonia universale (Gen 1,1-26.29-31; 9,9-17; Is 11,6-8; Mc 1,12-13; Rom 8,19-23; Ap 22,1-2). Un rapporto di comunione per il quale non esiste prevaricazione né dell’uomo sull’ambiente, né dell’ambiente sull’uomo.

Nel 1080 Rodolfo, il quarto Priore dell’Eremo, codifica per la prima volta le consuetudini di vita della comunità romualdina (Liber eremiticae regulae aditae a Rodulpho eximio doctore. Biblioteca della città di Arezzo, cod. 333, sec XI). Si tratta del primo libro camaldolese che ci offre pagine altamente dimostrative del rapporto tra i monaci e la foresta. In una pagina particolarmente ricca di poesia è raccolta tutta la tensione ascetica dei monaci che vivono in sintonia con l’ambiente, fino a registrare la loro "identificazione" con gli alberi. Il brano (cap. 49) canta i sette alberi elencati nel libro di Isaia quali segno della fertilità della terra rifondata da Dio (Is 41,19) e, contemplandone le proprietà, vi scopre l’indicazione di quelle virtù che ogni monaco deve possedere. Ma va oltre affermando che ogni monaco deve diventare quegli alberi!

"Pianterò, Egli dice, nel deserto, il cedro e il biancospino, il mirto, l’olivo, l’abete, l’olmo e il bosso". Se dunque desideri di possedere di questi alberi in abbondanza o se brami di essere tra loro annoverato (ut inter eos computari), tu chiunque sii, studiati di entrare nella quiete della solitudine (in solitudine quiescere). Quivi infatti potrai possedere, o diventare tu stesso (aut cedus fieri) un cedro del Libano che è pianta di frutto nobile, di legno incorruttibile, di odore soave: potrai diventare, cioè, fecondo di opere, insigne per limpidezza di cuore, fragrante per nome e fama; e come cedro che si innalza sul Libano, fiorire di mirabile letizia (mira iocunditate florescas). Potrai essere anche l’utile biancospino, arbusto salutarmene pungente, atto a far siepi, e varrà per te la parola del profeta "sarai chiamato ricostruttore di mura, restauratore di strade sicure". Con queste spine si cinge la vigna del Signore: "affinché non vendemmi la tua vigna ogni passante e non vi faccia strage il cinghiale del bosco né la devasti l’animale selvatico". Verdeggerai altresì come mirto, pianta dalle proprietà sedative e moderanti; farai cioè ogni cosa con modestia e discrezione, senza voler apparire né troppo giusto né troppo arrendevole, così che il bene appaia nel moderato decoro delle cose. Meriterai pure di essere olivo, l’albero della pietà e della pace, della gioia e della consolazione. Con l’olio della tua letizia illuminerai il tuo volto e quello del tuo prossimo e con le opere di misericordia consolerai i piangenti di Sion. Così darai frutti soavi e profumati "come olivo verdeggiante nella casa del Signore e come virgulto d’olivo intorno alla sua mensa". Potrai essere abete slanciato nell’alto, denso di ombre e turgido di fronde, se mediterai le altissime verità, e contemplerai le cose celesti, se penetrerai, con l’alta cima, nella divina bontà: "sapiente delle cose dell’alto". E neppure ti sembri vile il diventare olmo, perché quantunque questo non sia albero nobile per altezza e per frutto, è tuttavia utile per servire di sostegno: non fruttifica, ma sostiene la vite carica di frutti. Adempirai così quanto sta scritto:"Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo". Finalmente non tralasciare di essere bosso, pianticella che non sale molto in alto ma che non perde il suo verde, così che tu impari a non pretendere d’essere molto sapiente, ma a contenerti nel timore e nell’umiltà e, abbracciato alla terra, mantenerti verde. Dice il profeta:"Non alzate la testa contro il cielo" e Gesù: "chi si umilia sarà esaltato". Nessuno dunque disprezzi o tenga in poco conto i ministeri esteriori e le opere umili, perché per lo più le cose che esteriormente appaiono più modeste, sono interiormente le più preziose.

Tu dunque sarai un Cedro per la nobiltà della tua sincerità e della tua dignità; Biancospino per lo stimolo alla correzione a alla conversione; Mirto per la discreta sobrietà e temperanza; Olivo per la fecondità di opere di letizia, di pace e di misericordia; Abete per elevata meditazione e sapienza; Olmo per le opere di sostegno e pazienza; Bosso perché informato di umiltà e perseveranza."

Il testo esalta virtù che appartengono indistintamente ai monaci e agli alberi, in un sorprendente reciproco confondersi.

In questa pagina è gettato il fondamento di tutta l’attenzione amorosa ed edificatrice che i monaci hanno offerto alla "loro" foresta. Proprio da qui si dipana il lavoro di custodi appassionati, che nel turgore della foresta riflettono il turgore della loro ascesi o che ritrovano le tappe del loro cammino monastico negli alberelli posti a dimora.

Per questo non vi sarà più una legislazione successiva, riguardante la vita della comunità monastica, che tralascerà di disciplinare il rapporto monaco-foresta, se non quando questo sarà interrotto dalle soppressioni civili che ne toglieranno ai monaci la cura, nel 1810 (soppressione napoleonica) e 1866 (soppressione sabauda tuttora vigente).

Si verifica quindi una legislazione forestale del tutto singolare: non viene promulgato un codice a parte, specifico per la gestione forestale, ma questa è parte integrante delle costituzioni che regolano la vita dei monaci. Si tratta di un caso unico in tutto il monachesimo cristiano.

La Costituzione di Gerardo, redatta nel 1278, al capitolo XXIX, dopo aver regolamentato l’elezione del custode dell’eremo, prescrive che un monaco sia deputato alla cura e alla conservazione degli abeti, alla difesa delle piante novelle e al taglio che solo lui può far eseguire per l’utilità dell’eremo e del monastero. E a tutto questo sia "sollicite intentus" ("Annales Camaldulenses", t.VI, Ap. cap XXIX, cll. 230-231).

In una direttiva emanata nel 1285 c’è un riferimento esplicito a un decreto anteriore al 1278, che ci documenta una legislazione più antica, andata evidentemente perduta.

Nel 1382, a imitazione della politica fiorentina, viene concesso lo Statuto Speciale al piccolo centro di Moggiona che sorge nel territorio governato dai monaci (Statuto del Comune di Moggiona, Archivio di Stato di Firenze, Fondo Conv. Soppr. Camaldoli). In esso la Rub.1 della IV Parte si preoccupa dell’integrità della foresta, prescrivendo le penalità a cui sottoporre chi osasse "tagliare, o anche danneggiare, un piccolo abete"; penalità naturalmente accresciuta "Si… Abies incisa vel aliter devastata fuerit magna". Più grande è l’abete maggiore la multa. Si noti, tra l’altro, come nei documenti la parola Abete è sempre con l’iniziale maiuscola.

Nel 1520, stampato con i tipi in legno della nuovissima tipografia installata nel Monastero, viene pubblicato un libro di grande importanza: la Regola di Vita Eremitica (Paulus Justiniani, Eremitice vite regula a beato Romualdo Camaldulensibus Eremitis tradita: seu Camal. Eremi Istitutiones, Monasterio Fontis Boni MDXX, p. 37 ss.). Si tratta della prima organica legislazione, promulgata dal priore Paolo Giustiniani, dotto umanista veneziano (1476-1528). Quest’opera, che possiamo considerare il primo compendio ben articolato di tutte le precedenti norme stabilite dai Camaldolesi, ci dimostra come il rapporto con la foresta fosse parte integrante della regola di vita di quei monaci. Silvano Razzi, abate del Monastero fiorentino di S. Maria degli Angeli, ci dà, nel 1575, una traduzione della Regola del Giustiniani in lingua toscana (Regola della Vita Eremitica… Le Constituzioni Camaldolesi tradotte dalla lingua latina nella toscana, a cura di Silvano Razzi, Fiorenza MDLXXV, pp. 22-23 e p. 198). Da questa riprendiamo alcuni passi.

"… se saranno gl’Eremiti studiosi veramente della solitudine, bisognerà che habbiano grandissima cura, & diligenza, che i boschi, i quali sono intorno all’Eremo, non siano scemati, ne diminuiti in nium modo, ma piu tosto allargati, & cresciuti. Si possono adunque tagliare Abeti, per edificazione della Chiesa, delle Celle, & dell’altre stanze, & officine dell’Eremo; (…) con la sola licenza, & concessione del Maggiore [il Priore. Ndr]. Quando poi bisogna tagliarne quantità maggiore (…) ciò si faccia, ma con speciale licenza del Capitolo dell’Eremo: ne altri si conceda licenza di tagliare Abeti. (…) Procurino (…) con diligente cura che per ogni modo, si piantino ciascun’anno, in luoghi opportuni, & vicini all’Eremo, quattro, ò cinque mila Abeti. (…) La qual cosa, se per sorte, un anno (che Dio nol voglia) non si facesse, l’anno seguente facciasi per l’uno, & per l’altro. Ne altrimenti si possano tagliare Abeti, se ciò prima non sarà stato fatto" .

"Alla cura finalmente de gl’Abeti, su dee deputare uno del numero dei fratelli (…); l’ufficio del quale sia attendere con diligente cura, & sollecitudine, che non siano ne tagliati, ne offesi, ò vero guasti in alcun modo; & procurare, che di nuovo, come si è detto sopra a suo luogo, se ne piantino. & usare ogni diligenza alli piantati, accio che possano crescere; & quando se n‘ha da tagliare, mostrare quali, & dove si possa fare con manco danno della bellezza della selva; & fare in breve con diligenza tutte le cose, che appartengono alla cura, & custodia de gl’Abeti".

Nel 1639 le nuove Costituzioni di Camaldoli introducono la Guardia Forestale. Così recita l’articolo 7: "Molto importa che le selve dei nostri eremi siano ben guardate, e conservate, e però si habbi l’occhio chi sia, e di condizione, il custode di quelle: perciò deve essere giovane, e robusto, che possa una volta, et ancora due bisognando, ogni giorno circondare le selve, et cacciare via gli animali di vicini, et procurare che non si facci danno." (da G. Cacciamani, L’antica foresta di Camaldoli, Ed. Camaldoli, 1965, p. 31).

Nel 1850 un Regolamento del Priore dell’Eremo documenta la creazione di un Caporale che sovrintende al lavoro dei Taglialegna (Bifolci) e dei Macchiaioli (D.G.B. Casini, Regolamento per i Macchiajoli, 1850, copia ms. Archivio di Camaldoli).

Nel 1866 la soppressione sabauda interrompe definitivamente l’opera forestale dei Monaci Camaldolesi.

 

I "fogli sparsi"

Dicevo, introducendo, come, oltre ai libri, la vita della foresta fosse regolata da una miriade di fogli sparsi lungo i secoli, la cui importanza è determinante per documentare la vivace dinamica della silvicoltura camaldolese.

Si tratta di decreti di priori; atti capitolari; tariffari per il prezzo del legname confrontato con quello di altre segherie; note per il pagamento dei barrocciai che trasportavano il legname fino al porto di Poppi, sull’Arno; tabelle per gli stipendi dei dipendenti; ricevute doganali; contratti di vendita del legname; atti di acquisto di nuovi terreni boschivi; liti per lasciti testamentari o per problemi di vicinato, particolarmente vivaci con le confinanti foreste dell’Opera del Duomo di Firenze; lettere che chiedono consigli tecnici; documenti con i quali il Granduca di Toscana nel 1817 affida ai Camaldolesi le suddette foreste dell’Opera del Duomo; memorie presentate al Parlamento del nuovo Stato Italiano dai Comuni del Casentino per scongiurare la soppressione della comunità monastica e della sua foresta, carte amministrative della nuova amministrazione demaniale che si serve della competenza tecnica dei "monaci soppressi"e di uno in particolare che lavora a tempo pieno presso il nuovo ufficio statale.

Da questa costellazione di fogli è possibile apprendere, passando a volte di sorpresa in sorpresa:

-le tecniche per la rinnovazione del bosco, artificiali per i vivai e naturali tramite il prelievo dei selvaggioni in bosco;

-i tipi di taglio, pochissimi a raso, fitosanitari con ripuliture del sottobosco, e "a scelta" per assortimenti particolari (alberi maestri per navi);

-le strutturazioni coetanee e pure di abete bianco, con l’adozione dei "ronchi utili" per depurare il terreno dai parassiti, con la rotazione di colture, con la rinnovazione naturale che garantiva la selezione naturale;

- la disposizione per spazi conservati alla silvicoltura spontanea;

- l’uso di marchiare a martellatura le piante destinate al taglio;

- le numerose elemosine in legname per i più diversi destinatari;

- le punizioni per i trasgressori delle norme di taglio;

- lo scavo dei laghetti per l’irrigazione dei vivai;

- l’assistenza gratuita dei dipendenti malati, accolti nell’ospedale del Monastero allestito nel 1046;

- le pensioni di vecchiaia per gli stessi dipendenti;

- la provvigione della dote di nozze alle figlie dei dipendenti

- le percentuali sugli utili del legname trasportato via fiume concesse al gestore del porto;

- il contratto per la fornitura di 360 travi per la ricostruzione del tetto e della soffittatura della Basilica di S. Paolo in Roma, distrutta dall’incendio del 1832.

E poi la coltivazione di un orto botanico dove i monaci "speziali" coltivavano le numerose erbe medicamentose (officinali) che si aggiungevano a quelle che spontaneamente nascevano in foresta, usate per la confezione dei medicinali per lo "Spedale" (da G. Ciocci, Cenni storici del S. Eremo di Camaldoli, Firenze 1864, pp.102-104).

E ancora lettere di visitatori, illustri e non, che descrivono l’incanto di quei luoghi che testimoniano "quanto possa operar natura, quando non la si maltratta, e quanto essa contraccambi l’amor dell’uomo" , come scrive Halfred Bassermann nel suo commento alla Divina Commedia di Dante Alighieri. Bassermann, visitando i luoghi citati e descritti da Dante, si sofferma a lungo in Casentino, regione più volte ricordata nell’opera del Poeta. Questi, nel Canto XXX dell’Inferno, si incontra con Mastro Adamo, il falsario che operava nel castello di Romena al servizio dei Guidi, e scrive: "Li ruscelletti che dei verdi colli / del Casentin discendon giuso in Arno, / facendo i loro canali freddi e molli, / sempre mi stanno innanzi e non indarno: / …" (64-67). Il Bassermann commenta questi versi dicendo che ormai l’incuria degli uomini aveva trascurato quel luogo così che "li ruscelletti" erano ormai in gran parte asciutti, mentre nella foresta governata dai monaci camaldolesi era possibile constatare "quanto possa operar natura…".

In una lettera scritta nel 1521 dall’Arcivescovo di Corfù, il veneziano Cristoforo Marcello, leggiamo: "Prima che tu arrivi a quella località, salendo la montagna, ti si svela davanti la moltitudine di abeti, che la cinge da ogni lato e la tiene nascosta (…) Non ti posso esprimere con le parole quanto fui colpito di vivo stupore al primo vederla cinta ed ornata di quei meravigliosi abeti, tanto che la giudichi dono di Dio e dell’ingegno umano" ("Annales Camaldulenses", t. I, Ap. cll. 302-314).

Si tratta dunque di un materiale veramente prezioso nei contenuti e incalcolabile nella quantità. Fogli, registri, verbali, decreti, contratti, prospetti, promemoria, atti notarili, corrispondenze, che giacciono in scaffali di archivi e che attendono di essere sfogliati, letti, esaminati, organizzati con un’articolazione che evidenzi i loro aspetti spirituali, tecnici, economici, sociali e giuridici, per essere conosciuti, consultati, analizzati, confrontati e infine pubblicati in un portale telematico.

Materiale testimone di "un mondo che non è solo una riserva di alberi e di animali, ma che, proprio perché è un mondo, è un risultato di vite, di storie, di processi, di testimonianze, di ricerche, di fatiche, di lotte e di successi, di sconfitte e di vittorie, di solitudini e di incontri non riducibili a un mero problema tecnico ed economico; questo da solo certo non si addice a una realtà viva e perciò depositaria di un mistero che solamente la sua storia può far percepire e che nessun tecnico può mutare ma solo ascoltare e servire perché tale mistero sia conservato. (…) Qui tutti, dalla possente e secolare quercia al trepido e armonioso capriolo, sono depositari di una storia che nessun turista, e tanto meno nessun tecnico, ha il diritto di ignorare (…) soprattutto oggi che questi splendidi luoghi (…) possono rischiare di essere trasformati in doloroso oggetto di consumo, destinato a quell’usa e getta a cui ci stiamo tanto abituando, salvo poi a pagarne tutti insieme e singolarmente le dolorose conseguenze." (Simone Borchi, Foreste Casentinesi, prefazione di Salvatore Frigerio, Ediz. DREAM, 1989).

856 anni di lavoro complesso e appassionato che attende di essere conosciuto perché molto può offrire alla conoscenza storica del nostro Paese, alla riflessione di chi non vede nella natura un idolo inappellabile ma una realtà che con l’uomo e per mezzo dell’uomo cammina verso il suo compimento armonico; alla competenza tecnica di chi, oggi, lavora affinché il "servizio all’ambiente" sia sempre più un servizio all’ uomo riappacificato con se stesso e con tutto il cosmo.

Motivato dalla volontà di esplorare tale patrimonio, il Collegium Scriptorium Fontis Avellanae ha elaborato il progetto "Codice Forestale Camaldolese" che, accolto nell’ambito della "Carta di @nguana", prevede:

- la mappatura degli archivi statali, monastici e privati nei quali è presente una documentazione archivistica camaldolese;

- la lettura e schedatura della documentazione e la sua successiva sistematizzazione in apposito portale telematico che diverrà la "banca dati" cui poter accedere;

- la lettura trasversale di tutta la documentazione raccolta, curata da esperti in scienze storico-monastiche, scienze forestali, scienze economiche, scienze sociali, scienze giuridiche.

La comunicazione telematica permetterà di interagire con scuole, centri universitari, centri operativi di vari settori, in collaborazione con l’Istituto Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica sulla Montagna, con l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, con la Regione Marche e le Regioni appenniniche nelle quali hanno operato i Monaci Camaldolesi.

E’ un progetto di vaste proporzioni, mai affrontato sino ad oggi, ricco di senso culturale, umano, spirituale ed economico, che apre possibilità nuove di lavoro nel settore così detto "telematico", non solo per il Parco Nazionale che comprende Camaldoli e la sua foresta, ma per tutto il grande cantiere italiano che è la montagna, che attende di trovare possibilità nuove per garantire dignità e sicurezza a coloro che lo abitano e anche a coloro che nella pianura ne godono i benefici.

Padre Salvatore Frigerio

Articolo pubblicato su "SLM – Sopra il Livello del Mare", La Rivista dell’Istituto Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica sulla Montagna, n. 11, 2003, pp. 24-30.