AMBIENTE E NATURA: AL CENTRO DEL NOSTRO PROGETTO rubrica di CORRERENELVERDEONLINE

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Legge 21 novembre 2000, n. 353

Legge 9 dicembre 1998, n. 426

Protezione dalle esposizioni a campi elettrici

DL n° 230/1995 modificato

D.P.R. 13 marzo 1976, n. 448

 

 


 

 

 

Ambiente e Natura: per vivere meglio con più consapevolezza

CASTELPORZIANO: LA TENUTA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Non è solo una Tenuta ma un mondo a sé stante: un posto bellissimo, naturale, di grande quiete a soli 16 chilometri da Roma, verso il mare, che si estende per 6.000 ettari: il suo perimetro è di quasi 50 chilometri.

La sorveglianza è strettissima - anche se non si vede - per preservare questa che ormai è un'oasi verde, di così rara bellezza; dal 1979 nel territorio della Tenuta è stato imposto il silenzio venatorio; per questo non si caccia più.

La Tenuta è abitata solo nel Borgo dove risiedono stabilmente 44 famiglie tra Polizia, Carabinieri e Guardie Forestali e addetti alla manutenzione del territorio; il "Borgo", quindi, è l’unico insediamento abitativo della Tenuta.

L’aspetto della Tenuta, come lo vediamo oggi, ricalca sostanzialmente l’assetto dato dalla Famiglia Grazioli che investì le sue ricchezze nella costruzione di strade e nella ricostruzione dell’intero castello facendo diventare il tutto un luogo signorile, un luogo ameno, dove poter ospitare il Pontefice, le personalità di Roma , d’Italia e dell’estero.

La storia della Tenuta, però, è molto più antica; il suo territorio risulta abitato dall’uomo fin dalla preistoria come dimostrano i ritrovamenti rinvenuti nel corso degli scavi per la costruzione della Via Cristoforo Colombo.

Numerosi reperti di ville di alto prestigio dell’età imperiale romana, poi, testimoniano che il luogo - corrispondente all’antico Fundus Procilianus (Agro Laurentino) - era stato scelto dall’antica aristocrazia romana per la vicinanza al mare giacché il territorio abbraccia la fascia litoranea che va da Ostia ad Anzio.

Le antiche ville romane erano collegate a Roma attraverso un capace sistema viario costituito dalla Via Ostiense, dalla Via Severiana e dalla Via Laurentina.

Nella stessa tenuta di Castelporziano ci sono ancora i resti di un acquedotto e della villa, con relative terme private fornite di calidarium, tepidarium, frigidarium e palestra, dell'imperatore Commodo (180 d. C.) che aveva scelto questa residenza in occasione della pestilenza a Roma ma che ne rimase rapito per la bellezza del paesaggio che, ora come allora, mostra un universo verde in modo così assoluto e totale da sentirsi sottratti alle leggi del tempo; se non ci fossero quei lunghi viali asfaltati si potrebbe credere di essere arrivati qua in un lontanissimo ieri perché tutto è identico a quell’età remota.

Nel piccolo museo delle Terme allestito all'interno della tenuta sono conservati parte dei reperti archeologici portati alla luce durante gli scavi: vi sono dei pezzi molto importanti e altri molto antichi di età preromana, come i frammenti di una volta dipinta e ricomposta in modo da poter testimoniare la moda del tempo.

Altro ritrovamento importante rinvenuto nella Tenuta è la statua di un discobolo;. oggi nel museo è presente soltanto una copia perché l'originale si trova al Museo delle Terme di Roma; la statua è a grandezza naturale, priva della testa, di una parte della gamba e di un braccio ma, è spettacolare.

Dopo la caduta dell'Impero romano e dopo le invasioni barbariche questa zona entrò a far parte dei beni della Chiesa, fu affidata, di volta in volta, ad alcuni feudatari di nomina del Vaticano e fu adibita sempre a tenuta di caccia perché la grande caratteristica era una flora meravigliosa tipica della macchia mediterranea e la grande quantità di animali.

Era un luogo molto amato dai nobili nel '700 e nell’'800 per le grandi battute di caccia.

Nel 1568 una famiglia di origine fiorentina i "del Nero" acquistano la Tenuta sostanzialmente per ricavarne del reddito. I "del Nero" ebbero grosse conflittualità con il popolo per l’inosservanza dei diritti acquisiti dalla popolazione con gli editti papali.

I contrasti si fecero ancora più accentuati e la popolazione diminuì sia a causa della malaria sia decidendo di andare altrove per le poche risorse a disposizione: il reddito derivava soltanto dall'allevamento degli animali allo stato brado, dall’utilizzo dei prodotti del bosco come il legname grosso e il legname da ardere.

La proprietà dei "del Nero" va avanti per circa quattro secoli finché l’ultima rappresentante, Ottavia Guadagni, una vedova senza figli, aliena la proprietà (1824) ad una facoltosa famiglia romana i Grazioli che per l'acquisizione di meriti importanti da parte del vaticano - meriti economici - aveva bisogno di darsi un lustro, uno stemma; come già detto quest’ultima Famiglia promuove opere di varia natura per la rinascita del territorio.

Gli eventi precipitano e nel 1870 con la presa di Porta Pia i proprietari si trovano in difficoltà e vendono allo Stato italiano - tramite il Ministro delle Finanze pro tempore Quintino Sella – la Tenuta di Castelporziano; ciò per consentire al Re d’Italia Vittorio Emanuele II di coltivare la sua grande passione: la caccia che lo portava spesso ad allontanarsi da Roma per la lontana Tenuta in Toscana di S. Rossore; il territorio, quindi, entra, a far parte dei beni demaniali della Corona come riserva di caccia.

Vi rimane fino a tutta la seconda guerra mondiale quando, con la caduta della Monarchia e l'avvento della Repubblica, la tenuta di Castelporziano passa allo Stato italiano e per norma costituzionale diventa dotazione immobiliare del Presidente della Repubblica.

Nella zona a nord della Tenuta - lungo la valle di Malafede in un recinto di quasi 650 ettari – sono allevati i cavalli e i bovini maremmani che qui vivono quasi allo stato brado; tozzo ma forte, il primo è un mezzosangue vincitore di diversi premi dedicati alla razza; il toro, maestoso e possente con lunghe corna a forma di mezzaluna e le vacche maremmane con le tipiche corna a lira.

All'ombra di boschi si trovano un gran numero di animali che hanno resa famosa la tenuta, quali il cinghiale, il daino, il capriolo e il cervo reintrodotto nella tenuta negli anni '50 dopo che era scomparso a seguito di avvenimenti bellici.

Ci sono anche i piccoli mammiferi quali la volpe, l’istrice, il tasso, la martora, le lepri, i conigli selvatici e tra i volatili stanziali: i fagiani, le ghiandaie e il barbagianni, i corvi, il nibbio bruno, l’airone rosso e il cinerino, le garzette.

Il 70% circa del territorio della tenuta è costituito da boschi con prevalenza di querce come la farnia, il leccio, il cerro e la sughera che comincia a fornire il sughero all’età di 25 anni con prelievi ogni sette anni – in media una sughera vive 200 anni; numerose sono anche altre piante di alto fusto: il pino domestico - più conosciuto come pino marittimo - il frassino, l’olmo, l’acero, l’ippocastano, il bagolaro, il melo e il pero selvatico, l’eucalipto introdotto per bonificare le zone paludose.

Nella zona di Capocotta la vegetazione cambia: si vedono tuje, noccioli, aranci, filliree e di notevole interesse sono le pinete, di cui la più vecchia risale al secolo scorso e una pianta di fillirea di circa 1200 anni abbraccia un rudere antico come volesse proteggerlo dallo scorrere dei secoli.

Il sottobosco è composto dalle piante tipiche della macchia mediterranea; il mirto, il lentisco, il corbezzolo, il cisto, l’erica, la ginestra, l’alloro, l’oleastro, la fillirea, il rosmarino, il rovo, il ginepro, il prugnolo, il biancospino, l’asfodelo, lo stramonio.

Le dune, che fila dopo fila si spingono fino al mare sono ricoperte da piante erbacee come il cardo selvatico e cespugli di erbe striscianti che vivono sulla sabbia e resistono all'azione del vento salmastro.

E’ uno spettacolo che cambia con il fluire delle stagioni e che muta luce ed emozione durante la giornata; protagonista è la macchia mediterranea che si presenta su tre livelli: altofusti, arbusti e piante erbacee alternandosi con dune degradanti verso il mare.

Qui all’imbrunire è possibile udire il rumore sordo del cinghiale in corsa, gli scatti metallici degli aculei dell’istrice ed il verso dei rapaci notturni come il barbagianni.

 

Diana Onni