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Storia dell'arte - Story of Art


 

 

 

BENVENUTO CELLINI

Estrosa genialità

Benvenuto Cellini particolare della ninfa di fontainebleau

Orafo, scultore, incisore e scrittore, Benvenuto Cellini, nasce a Firenze nel 1500, figlio di Giovanni, architetto, musico e molto amico della famiglia de’ Medici; dal padre ereditò la grande passione per la musica anche se cominciò molto presto a lavorare come orefice; racconterà nella Vita: "Cominciò mio padre a ‘nsegnarmi sonare di flauto e cantare di musica".

Già nei primi anni della formazione giovanile presso il maestro orafo Antonio del Sarto, rivelò un carattere difficile tanto che per le sue continue risse, a soli sedici anni, fu allontanato da Firenze e costretto a vivere a Siena per sei mesi.

Dopo soggiorni in varie città, appena tornato a Firenze fu nuovamente allontanato sempre a causa di risse e ferimenti e si trasferì a Roma, dove si fermò, dal 1523 al 1540, lavorando per la nobiltà romana e per il Papa Clemente VII, che, nel 1529, lo nominò incisore della zecca romana.

Qui preparò i coni di diverse monete, tra le quali un pezzo d’argento del giulio e mezzo raffigurante "Cristo che trae in salvo San Pietro dalle acque" e un doppio ducato d’oro con "Cristo alla colonna".

Per Clemente VII eseguì anche due medaglie, raffiguranti la "Pace che brucia le armi" e "Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia".

Fu sempre protetto dal Papa Clemente VII sia quando uccise l’assassino di suo fratello e sia quando ammazzò un certo Pompeo de’ Capitaneis, suo rivale, gioielliere di Milano.

Tanto sublimi sono le sue produzioni quanto curiosa è la sua personalità: brutale, crudele, sanguinario, sodomita; più volte incarcerato per atti di libidine e di violenza nei riguardi di fanciulli e ragazzi, fu il più famoso e sublime orefice del Rinascimento; fra le poche opere che ancora sono conservate vi è una spettacolare saliera per Francesco I, l’incredibile statua di Perseo abilmente restaurata, la celeberrima Ninfa di Fontainebleau di bronzo di abbagliante bellezza e il dolente, tormentato e patetico Crocifisso di marmo creato per la sua tomba e che ora si trova all’Escoriale.

Nel sacco di Roma si distinse nella difesa di Castel Sant’Angelo; era la notte tra il 5 e il 6 maggio 1527 e Sant’Angelo, era interamente all’erta perché un esercito, forte di 14.000 uomini, stava per attaccare il Papa.

L’esercito, che costituiva il nerbo spietato di Carlo V di Spagna, era formato da mercenari tedeschi chiamati, ormai, con un termine entrato nella storia, Lanzichenecchi (lands-knecht = servo del paese) che combattevano in maniera crudele agli ordini di un italiano Giorgio Frundsberg, tirolese, nato nella zona di S. Candido: personaggio pericoloso e assolutamente spietato.

La scena era quella di una notte nebbiosa quando le truppe erano nei pressi di Porta Santo Spirito e quattro uomini correvano verso Sant’Angelo a perdifiato, erano: Benvenuto Cellini, Baccio del Bene (Alessandro di Piero del Bene), l’amante di Benvenuto Cellini: Cecchino della Casa e un altro sconosciuto che cercavano scampo dalle armate.

Benvenuto Cellini aveva la sua bottega a Via dei Banchi Vecchi ed aveva sentito arrivare l’esercito; con alcuni, aveva difeso, in quella zona, la casa dell’amico Baccio del Bene sempre in Via dei Banchi Vecchi e fu, lì, che Cellini vide le prime ombre indistinte delle truppe e sentì le urla e i frastuoni delle colubrine e degli archibugi.

In compagnia degli amici vide un uomo, sfarzosamente vestito, superare le antiche mura romane, fu un attimo: "… trovandomi lì e dovendo far cose da omo dissi agli altri di armare i loro archibugi e di sparare, sparammo tutti due volte… " dirà, poi, lo stesso Cellini "… e l’uomo cadde riverso dietro le linee nei primi momenti del combattimento; " morì, "forse ucciso da me, forse ucciso dagli altri"; era il comandante in capo, il conestabile Carlo di Borbone.

Tutti e quattro scapparono, inseguiti dagli imperiali, dirigendosi verso Castel Sant’Angelo dove Orazio Baglioni e Renzo da Ceri che comandavano le guarnigioni di guardia riconobbero Benvenuto Cellini perché scritturato dal Papa (non come orefice) come suonatore di piffero (la passione di Cellini era la musica non l’oreficeria).

Il Papa, Clemente VII Medici, non si era ancora accorto di nulla, stava pregando nella Cappella interna al palazzo e soltanto quando il cardinale Iacopo Salviati lo invitò ad allontanarsi si rese conto della gravità del momento e, attraverso il passetto di borgo, arrivò a Sant’Angelo; erano circa le due di notte del 6 maggio 1527.

Fu l’inizio dell’apocalisse; Roma non era stata mai così violentata; Carlo di Borbone aveva promesso di impiccare il Papa e di fare una strage di cardinali; i lanzichenecchi erano guidati da Frundsberg che, a cavallo di una mula con due enormi barili di birra, distribuiva la bevanda ai soldati (ancora oggi il nome di chi degusta un vino è detto sommelier "conduttore di bestie da soma", cui erano applicate delle botti per dissetare l’esercito) e li incitava al combattimento.

Intanto Benvenuto Cellini, che con le artiglierie si trovava nella loggia di Giulio II, con un solo colpo di falconetto riuscì a colpire un "uomo poco distante da lì con una zagaglietta in mano, tutto vestito di rosso", (soltanto i nobili e i potenti vestivano di rosso) " che indicava ai suoi uomini dove scavare e cosa fare mentre teneva la spada in certa maniera spagnoleggiante non infilata nel fodero ma in un laccio che gli pendeva sul davanti".

Con il Papa a fianco che diceva : "… spara Benvenuto, spara, colpiscilo" il Cellini fece fuoco dando un particolarissimo abbrivio al colpo che andò a segno percuotendo e facendo roteare la spada dell’uomo, così da tagliarlo a metà: "…metà cadde a terra e metà rimase sul cavallo che si imbizzarrì ..." racconteranno i presenti per tramandare l’episodio alla storia.

"… non so come feci…" scrisse Cellini, che era espertissimo con le armi, e, poi:"… io mi inginocchiai al Papa e gli chiesi di benedirmi per questo e per tutti gli omicidi ch’io avessi commesso sotto la sua difesa; il Papa mi fece un’enorme croce sopra il braccio, e affermò che mi salvava di quello e di tutte le morti che avessi commesso e, allora, caricai ancora perché vidi un uomo circondato da altri che, sempre nella stessa zona, stava facendo grandi gesti; io caricai il falconetto con verghe di ferro; lo caricai e sparai; quell’uomo veniva su un piccolo muletto, circondato da una grande folla; esploso il colpo, il muletto cadde sventrato dal colpo e l’uomo stramazzò coprendosi con una mano la fronte colpita dalle schegge. Il corpo, agonizzante, fu portato in una vicina osteria che aveva un sole al centro; chiesi al Papa se potevo colpire quell’osteria perché quell’uomo doveva essere veramente importante poiché aveva una turba intorno a se e tutti i lanzichenecchi si stavano stringendo attorno a lui".

Benvenuto Cellini aveva colpito alla fronte Filippo d’Orange, il secondo capo dei lanzichenecchi.

E, quando il Papa ordinò a Benvenuto:"Colpisci quella locanda e falla saltare così finisce l’assedio" e mentre tutto Castel Sant’Angelo orientava i fuochi verso quel bersaglio, il cardinale Orsini si oppose perché da qualche giorno erano iniziate le trattative per la resa e con l’uccisione del capo tutti i lanzichenecchi avrebbero attaccato in forza; il Papa scontento, cedette, e il cardinale non fece sparare; l’assedio durò altri venti giorni e fu veramente spaventoso.

Le memorie di Cellini saranno rese pubbliche solo nell’Ottocento perché i suoi memoriali porteranno allo scoperto il verminaio di quell’assalto.

Un altro episodio singolare, sempre legato al sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi, fu quello in cui Cellini si trovava sul terrazzo di Castel Sant’Angelo con Renzo da Ceri e quest’ultimo lo incitava a sparare: "Signore se faccio esplodere questo colpo, lo spostamento d’aria farà cadere dei sassi di sotto", "fallo!"; "…sotto c’erano il cardinale Orsini e il cardinale Farnese, … e se io l’avessi ammazzati mi sarei risparmiato tanto …".

L’inimicizia di Cellini con il cardinale Farnese, che diventerà, poi, Papa, si diceva fosse nata da quell’episodio ma, in realtà, Paolo III Farnese, aveva sempre stimato, in parte, Benvenuto Cellini tanto da dimostrarlo proteggendolo dalle numerose accuse di sodomia e di atti di libidine e violenza; in realtà, era Pieluigi Farnese, figliolo del Papa, che per un’antichissima inimicizia non sopportava Cellini fino a chiedere al padre di mandarlo in carcere per "affari disonesti".

Imprigionato a Castel Sant’Angelo, Benvenuto Cellini fu l’unica persona ad essere fuggito da quel carcere; nel suo tentativo si fratturò una gamba e messosi al riparo in una piccola chiesa accanto al Vaticano, la chiesa di San Giacomo, poi distrutta; fu riconosciuto da un cardinale che lo protesse, e lo curò e lo riconsegnò al Papa che lo rimise in carcere per la seconda volta dove sarà assalito da quelle visioni terribili di angoscia e di morte che, poi, produrrà in un suo grandissimo capolavoro, il dolente e straziato Crocifisso in marmo dell’Escoriale.

Assolto e scarcerato nel 1539 per intercessione di Ippolito II d’Este, lasciò Roma per Parigi dove Francesco I gli assegnò una pensione egli offrì nel 1543, dimora e officina nel castello Petit Nestle.

Al periodo parigino appartengono la celebre e preziosa saliera in oro e smalto (Vienna, Kunsthistorisches Museum) eseguita nel 1543 su commissione del Re, con Nettuno quale personificazione del Mare (che sorregge una navicella) e la Terra e il rilievo in bronzo con la cosiddetta Ninfa di Fontainebleau (1543-44), oggi al Museo del Louvre di Parigi.

L’indole irrequieta e rissosa, le continue dispute che Cellini non sapeva smettere, malgrado nel 1544 una modella, sua amante, lo rendesse padre di una bambina, lo indussero a lasciare anche la Francia per tornare a Firenze dove fu accolto con onore da Cosimo I, il figlio di Giovanni de’ Medici (il famoso Giovanni dalle Bande Nere).

Per Cosimo I produrrà , nel 1550, la famosa statua in bronzo di Perseo, attualmente alla Loggia dei Lanzi di Firenze, il grande busto in bronzo di Cosimo I e il Narciso (Firenze, Museo Nazionale).

A Firenze non gli mancarono le amarezze, tanto che Cellini cominciò a pensare alle cose dell’anima e, nel 1558, prese gli ordini minori, dai quali, però, due anni dopo si fece prosciogliere per sposare la sua governante, Piera de’ Parigi, già sua amante da diverso tempo.

L’ultima parte della vita, solitaria, fu una sequenza ininterrotta di delusioni e sofferenze, alleviata soltanto dalla stesura della Vita, un’autobiografia, incompleta, da lui scritta tra il 1558 e il 1566 e pubblicata solo nel 1728 dal medico e filosofo Antonio Cocchi.

E’ il racconto di un’esistenza avventurosa, inquieta, piena di errori, di ombre e di passioni, dominata da un potente individualismo che nell’amore esclusivo per l’arte riscatta la sua millanteria.

La Vita parve subito un capolavoro singolare del Rinascimento per l’immediatezza e sincerità nella narrazione che ritrae, in uno stile liberissimo da ogni regola, l’appassionata, libera, prepotente e bizzarra personalità dell’artista.

Scriverà:

"Tutti gli uomini di ogni sorte, che hanno fatto qualche cosa che sia virtuosa, o si veramente che la virtù somigli, doverieno di lor propria mano descrivere la loro vita ma non si doverrebbe cominciare una tal bella impresa prima che passato l’età de’ quarant’anni"

Colorita e vivace è anche la prosa dei due Trattati dell’Oreficeria e della Scultura (1565 -1568), mentre ben poco aggiungono alla fama dello scrittore le Rime e altri trattati sull’architettura e l’arte del disegno.

I lavori di oreficeria che hanno occupato gran parte dell’attività del Cellini, purtroppo, sono scomparsi; oltre a quelli già accennati, rimangono due sigilli (Mantova e Lione) con raffigurazioni che rammentano composizioni raffaellesche; tuttavia, la documentazione di alcune monete e medaglie a lui attribuite e i riscontri precisi dell’evoluzione della sua arte permettono di individuare le sue fonti di ispirazione in Michelangelo, in Leonardo e in Filippino Lippi (oltre che nei sarcofagi del camposanto di Pisa).

Perseguitato dalle malelingue si ritrovò a vivere in miseria gli ultimi suoi anni; morì il 13 febbraio 1571.

Le sue spoglie riposano nella Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze.

 

 

 
 
 

 

 

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