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CARNEVALE

Si dice che la parola "CARNEVALE" derivi dal "carne levare" perché i festeggiamenti, precedendo l’inizio della Quaresima, rappresentano l’ultimo momento per mangiare carne; c’è anche una leggenda che risale all’epoca babilonese: il dio Sole e la dea Luna durante le feste per la fine dell’anno erano fatti salire su una nave con le ruote, chiamata "carro navale" (da cui deriverebbe la parola "car-naval") e portati in processione.

Una storia antica, legata ad un unico filo: il divertimento, la spensieratezza, la goliardia, che resiste tenace durante secoli e secoli, intrecciata saldamente alle tradizioni e al folklore dei diversi popoli.

Alle sue origini troviamo le feste pagane che si celebravano a Roma in onore di Saturno dal 17 al 23 dicembre; in quei giorni regnava nell’Urbe un’eccezionale allegria ed ognuno godeva della più ampia libertà, tanto che gli schiavi mangiavano alla stessa tavola dei padroni.

Il Carnevale in Europa è stato per secoli una festa d’inizio dell’anno. I suoi scherzi e i suoi riti rappresentavano la fine dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo.

Con l’avvento del Cristianesimo, i festeggiamenti perdettero molte delle loro caratteristiche orgiastiche e vennero spostati ad una data successiva, e cioè nel periodo che corre dall’Epifania al mercoledì delle Ceneri (a Milano dal III° secolo in poi, per decisione di Sant'Ambrogio, il Carnevale viene prolungato fino alla vigilia della prima domenica di Quaresima).

Era una festa di origine contadina: nella metà di febbraio moriva l’inverno e si avvicinava la primavera e così con il carnevale un ciclo di stagioni finiva e un altro ne incominciava. Un corteo di maschere faceva parte delle celebrazioni di carnevale ed erano fantasmi o anime di morti che stranamente rassicuravano la gente perché offrivano la protezione ai vivi e al raccolto.

Con il passare degli anni si ebbe tuttavia una riviviscenza delle consuetudini pagane tanto è vero che Innocenzo III stigmatizzò in una bolla papale, le eccessive licenze carnevalesche e cercò di disciplinare feste e corsi mascherati, abolendo alcune usanze ed istituendone di nuove.

Al Medioevo risalgono le prime edizioni della sagra "degli asini" e di quella "dei pazzi"; quest’ultima che ci è stata magistralmente descritta da Victor Hugo in "Notre Dame de Paris", si svolgeva nella capitale francese ed altro non era se non una grottesca farsa delle più austere cerimonie religiose.

Una delle caratteristiche dei Carnevali dell’età di mezzo era poi quella della processione dei poveri e degli storpi che giravano a lungo per le vie ed i vicoli di ogni città, ricoperti di stracci multicolori e con il viso celato da orride maschere.

Soprattutto in Francia, dal 1200 in avanti le manifestazioni carnevalesche assunsero un ritmo sfrenato e furono caratterizzate da ogni specie di eccessi: basti dire che perfino un Re, Carlo VI, venne assassinato mentre danzava travestito da orso.

In Italia, invece, i festeggiamenti si svolgevano in modo più tranquillo ed erano improntati, anziché alle volgarità e alle grottesche parodie, in una cornice di ricchi costumi e di rappresentazioni tradizionali che richiamavano un vasto pubblico anche da oltralpe.

Nel 1800 il Carnevale aveva già mutato volto, assumendo una diversa raffinatezza, una più leggera impostazione. Celebri restarono le manifestazioni che si svolsero a Roma nel 1805 e culminarono nella splendida mascherata di Casa Chigi dedicata al "Concilio degli Dei".

Il Belli che a quell’epoca aveva solo 14 anni, immortalò in una serie di bozzetti il popolo romano di allora che sfilava per il "Corso" e si raccoglieva sullo "scalinone" di Casa Ruspoli per assistere al passaggio della "mossa" (la parata dei dragoni pontifici) o alla corsa dei "barberi" (bellissimi cavalli montati senza sella, che rappresentavano le varie casate nobiliari).

E’ sempre il Belli che nel 1834 quando si temevano divieti per le feste di carnevale (nell’anno precedente il Governo, temendo disordini, aveva vietato le maschere) in un sonetto dedicato al carnevale di quell’anno scrive:

"Ce saranno le maschere quest’anno?

A me me dice er mozzo de Caserta

Che lui ha inteso a dì ppe cosa certa

Da ‘na spia amica sua, che ce saranno

Così tra il fasto della vecchia società sopravvissuta al feudalesimo e i grandi avvenimenti politici che scuotevano l’assetto dell’Europa, il 1800 celebrava il suo carnevale.

Con la fine del secolo si spegneva la luccicante follia che fino allora aveva caratterizzato questo periodo dell’anno; qualche settimana di allegria scatenata e di oblio prima dell’inizio della parentesi di penitente grigiore della Quaresima.

Oggi di questa secolare tradizione rimane ben poco e per ritrovare l’atmosfera degli indiavolati carnevali del passato non ci resta che ricorrere alle suggestive pagine scritte da Goethe che mette in evidenza il carattere eccezionale di questa festa che la rendeva diversa da tutte le altre feste in quanto tutti si consideravano uguali abolendo ogni distanza. Per Goethe " Il Carnevale di Roma non è una festa che si offre al popolo ma bensì una festa che il popolo offre a se stesso" e i romani festeggiavano il carnevale travestiti con costumi multicolori che rappresentavano i mestieri più comuni: il medico, l’avvocato, la popolana.

Era l’occasione in cui ci si scambiava i ruoli: il ricco si vestiva da povero, il povero da ricco. Coriandoli di gesso, stravaganti pettinature e riti bizzarri completavano il rituale carnevalesco di Roma.

Veniva organizzata anche la "gara dei moccoletti" i romani si aggiravano per le strade della città con una candela in mano cercando di spegnere le candele altrui.

Altri nomi illustri come Geoge Sand, Madame de Stael, Byron, Giuseppe Gioacchino Belli e quanti altri, hanno saputo fissare sulla carta la giocosa spensieratezza del carnevale e della "festa delle maschere" in Italia e in tutta Europa durante la prima metà dell’Ottocento quando ancora il Carnevale si conservava fedele alle proprie origini.

I tipici elementi del carnevale sono le maschere che simboleggiano le immagini caricaturali dei vizi e virtù umane (pulcinella: maschera tipicamente napoletana vestita di bianco con mascherina nera che diceva di essere stato covato da una chioccia come il pulcino a cui allude il suo nome; arlecchino: personaggio da commedia che recita le parti di un servo sbadato e sguaiato; il suo costume cucito con pezzi diversi e multicolori è il simbolo del suo comportamento perché ne combina "di tutti i colori"; balanzone: dottore bolognese saccente e chiacchierone, burbero e brontolone che fa credere di essere un gran sapiente ma alla fine è solo un truffatore; pantalone: vecchio mercante veneziano borbottone e avaro molto attento al denaro, autoritario, stravagante ma abbindolato dalla moglie e dalle figlie; brighella: giovane bergamasco e servo attaccabrighe ma furbacchione; colombina: servetta furba, allegra, spumeggiante, bugiarda; …) oppure simboleggiano le immagini degli esseri inferi (le patoilles valdostane sono maschere dal volto annerito dalla fuliggine e rappresentano le anime dei morti propiziatorie della primavera e del sole; i mamuthones nuoresi che vestiti di pelli cariche di campanacci e il viso coperto da una maschera tragica, con gran frastuono di campanacci, fanno danze propiziatorie per un buon raccolto) oppure ancora simboleggiano la battaglia tra il cibo grasso (Re Carnevale a Bologna, Re Nasone a Napoli: un grasso personaggio dalla enorme pancia) e il cibo magro (Donna Quaresima, una maschera alta, ossuta, vestita di scuro).

Carnevale è anche festa della gola; non c’è città che non festeggi con scorpacciate di dolci tipici come le frappe (Roma), galani (Venezia), cenci (Genova), bugie (Firenze), lattughe (Mantova), chiacchiere (Napoli) molti modi per indicare uno stesso dolce fatto di zucchero, farina, uova tirato a strisce lunghe e fritto in abbondante olio sfrigolante; le castagnole, palline dolci cosparse di zucchero, i tortelli dolci o tortellacci, ravioli con ripieno di marmellata di amarene, castagne, prugne e uvetta sultanina; le zeppole, dolci morbidi e fritti che appartengono alla tradizione napoletana; i coriandoli che oltre ad essere i dischetti di carta colorata che giocosamente arricchiscono di sfumatura goliardica il carnevale sono anche dei piccoli dolcetti zuccherini e colorati che hanno mutuato la forma dai frutti sferici della pianta del coriandolo, una ombrellifora (coriandrum sativum) originaria del Mediterraneo .

 

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