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David Hare

nelle Chiese Rupestri di Matera

Hare - Arcadian Chariot Air, 1986Il percorso creativo di Hare, dal momento della ricerca sugli Indiani d’America, per conto del Museo di Storia Naturale di New York, alle fusioni dei primi anni Novanta, e rappresenta il primo documento, a livello internazionale, dell’importante presenza dello scultore nell’ambito del surrealismo, utile per chiarire i rapporti intercorsi tra gli Stati Uniti e l’Europa nel corso del secolo appena trascorso. Hare, infatti,  non solo fu presente nelle  più determinanti rassegne d’arte contemporanea organizzate dopo la seconda guerra mondiale dal Museum of Modern Art di New York (“14 Americans” del 1946, “New Decade” del 1955), ma costituì il ponte tra New York e Parigi, come sarà evidente nel 1976, nella mostra “Paris-New York” tenutasi al Centre Pompidou.

Naturalmente, non bisogna dimenticare le credenziali di partenza: Nato nel 1917 a New York, sua madre, che aveva studiato con Brancusi a Parigi, era stata nel 1913 tra gli espositori dell’Armory Show (di cui, guarda caso, era segretario Joseph Stella, nato a Muro Lucano e trasferitosi in America nei primi anni del secolo) ed era sposata con il fratello dell’architetto che aveva costruito il Museum of Modern Art; sua cugina, Kay Sage, era la moglie di Yves Tanguy; i suoi migliori amici erano André Breton, Marcel Duchamp e Max Ernst, con i quali dirigeva la rivista surrealista “VVV”.

Con un tale capitale di amicizie e di cultura, Hare entra ed espone, a più riprese, nella galleria “Art of this Century”, aperta a New York da Peggy Guggenheim, allora moglie di Max Ernst, e a Parigi, dove vive dal 1948 al 1953, nella Galerie Maeght.

“La scultura è più primitiva della pittura perché tratta dell’illusione come obiettivo o, se si preferisce, deve rendere l’illusione il suo obiettivo. La scultura è più complessa in quanto deve prender forma nella realtà dimensionale, perché ogni forma ha più lati, non solo uno. Nella scultura tutto, eccetto lo spirito alla bse dell’opera, deve esistere nella materia stessa… il lessico della pittura è molto più ampio di quello della scultura; d’altra parte, sostenendo il peso effettivo del mondo fisico e l’effettiva realtà della dimensione, il lessico della scultura è più irruente”. Sono parole di David Hare, il grande scultore americano che con le sue opere è il grande protagonista di quest’estate, nel palcoscenico incredibile delle chiese rupestri materane, in cui è allestita fino al 9 ottobre la grande mostra antologica a lui dedicata.

Come da tradizione ormai venticinquennale, la grande scultura internazionale, grazie all’impegno congiunto del Circolo La Scaletta e del curatore Giuseppe Appella, torna a “misurarsi” con lo scenario mozzafiato dei Sassi di Matera e con gli incredibili spazi, scolpiti nel tufo, delle chiese rupestri Madonna delle Virtù e S. Nicola dei Greci: “nozze d’argento” dunque per un appuntamento che, ormai ha visto accogliere, in un connubio perfetto e sempre sorprendente tra ambiente e arte, i capolavori di Pietro Consagra, Fausto Melotti, Arturo Martini, Duilio Cambellotti, Andrea Cascella, Pericle Fazzini, Roberto Sebastian Matta, Umberto Milani, Libero Andreotti, Stanislav Kolibal, Mario Negri, Leoncillo, Antonietta Raphaël, Marcello Mascherini, oltre che di scultori di primo piano inseriti nelle mostre dedicate alla “Scultura in America”, “Scultura in Francia”, “Periplo della scultura italiana contemporanea” 1 e 2, “Vanni Scheiwiller e la scultura”.

La mostra di quest’anno è, dunque, dedicata all’artista newyorkese David Hare, grandemente amato ed apprezzato da Jean-Paul Sartre, grande interprete del Surrealismo “sbarcato” in America, e comprende 80 sculture (in bronzo, acciaio, ottone, alabastro, pietra, legno), datate 1946-1992; 55 opere su carta (acrilici, inchiostri, collage, acquarelli) datate 1945-1992; 24 fotografie del 1940-1943, tra le quali le celebri immagini dedicate nel 1941 da Hare ai Pueblo Indians as they are today, con il commento di Clark Wissler; un gruppo di litografie del 1972, pubblicate dalla Tamarind Press di New York. Le opere provengono dall’Estate of David Hare, da diversi musei e gallerie degli Stati Uniti (Whitney Museum of American Art, New York, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Grey Art Gallery New York University, Ubu Gallery, New York, American Museum of Natural History, New York), oltre che dal Museo Guggenheim di Venezia, dalla Fondazione Maegth di Saint Paul de Vence e da alcuni collezionisti svizzeri.

Come ci dice Appella, curatore della mostra insieme ad Ellen Russotto, si è inteso coprire l’intero percorso creativo di Hare, dal momento della ricerca sugli Indiani d’America, per conto del Museo di Storia Naturale di New York (Hare è stato anche un importante fotografo), alle fusioni dei primi anni Novanta, e rappresentare così il primo documento, a livello internazionale, dell’importante presenza dello scultore nell’ambito del surrealismo, utile per chiarire i rapporti intercorsi tra gli Stati Uniti e l’Europa nel corso del secolo appena trascorso. Hare, infatti, non solo fu presente nelle più determinanti rassegne d’arte contemporanea organizzate dopo la seconda guerra mondiale dal Museum of Modern Art di New York (“14 Americans” del 1946, “New Decade” del 1955), ma costituì il ponte tra New York e Parigi, come sarà evidente nel 1976, nella mostra “Paris-New York” tenutasi al Centre Pompidou.

Certamente, non bisogna dimenticare le credenziali di partenza: Nato nel 1917 a New York, sua madre, che aveva studiato con Brancusi a Parigi, era stata nel 1913 tra gli espositori dell’Armory Show (di cui, guarda caso, era segretario Joseph Stella, nato a Muro Lucano e trasferitosi in America nei primi anni del secolo) ed era sposata con il fratello dell’architetto che aveva costruito il Museum of Modern Art; sua cugina, Kay Sage, era la moglie di Yves Tanguy; i suoi migliori amici erano André Breton, Marcel Duchamp e Max Ernst, con i quali dirigeva la rivista surrealista “VVV”.

Con un tale capitale di amicizie e di cultura, Hare entra ed espone, a più riprese, nella galleria “Art of this Century”, aperta a new York da Peggy Guggenheim, allora moglie di Max Ernst, e a Parigi, dove vive dal 1948 al 1953, nella Galerie Maeght.

La cronologia completa della sua vita, chiusasi a Jackson Hole nel 1992, e la bibliografia aggiornata al 2005, vengono ricostruite per la prima volta nei dettagli da Ellen Russotto nell’occasione di questa mostra che nasce dal contatto avuto da David Hare e dalla moglie Terry nel 1990 con la città lucana, in occasione della mostra “Scultura in America”. In quell’occsione l’affetto di Hare per Matera fu testimoniato dalla donazione di una sua scultura in acciaio, Mountaine Moonrise, del 1986, che andrà ad arricchire il Museo della Scultura Contemporanea in Palazzo Pomarici per iniziativa della Fondazione Zétema di Matera.

La mostra, allestita con la ben nota sensibilità e competenza da Alberto Zanmatti, mette in evidenza la concezione di Hare di un’opera né astratta né rappresentativa, comunque non aliena dal raffigurare elementi naturalistici disegnati nello spazio con arguzia e senso ironico. Il disegno di un’idea tradotta in tre dimensioni, dunque, attraverso molteplici materiali che coinvolgono la base della scultura nell’opera costruita per correlazioni di linee, di colori e di tensioni. Queste ultime aumentano o diminuiscono a mano a mano che il lavoro procede, determinandone alla fine il carattere fondamentale dei piani e delle masse. Di fondamentale supporto all’evento espositivo, che resterà ben oltre l’effimero dell’esposizione materana (che rimarrà aperta al pubblico fino al 10 ottobre, salvo proroghe), è un importante catalogo monografico, pubblicato dalle Edizioni della Cometa, con contributi dei due curatori e di Jean-Paul Sartre, Robert Goodnough, Rufus Goodwin, Milton Gendel, la riproduzione di tutte le opere esposte e un ampio regesto dedicato alla vita e alla fortuna critica dell’artista.

Fonte: comunicato stampa in occasione della mostra: "David Hare nelle Chiese Rupestri di Matera" L'opera grafica" tenutasi a Matera dal 9 luglio al 9 ottobre 2005.

 

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